I miracoli della tecnologia moderna ci permettono di avere tra le mani una copia in advance (terminologia ormai nota a molti di noi, you know what I mean) del nuovo album di Mark Lanegan, ex Screaming Trees, e ormai anche ex ospite degli onnipresenti Queens of the Stone Age.

Incuriositi dal primo entusiasmo quasi generalizzato - ho detto quasi - e fiduciosi causa garanzia di qualità rappresentata dal nome dell'artista in questione, ormai giunto al sesto album solista, non esitiamo a inserire il cd nel nostro lettore.
When Your Number Is Up apre il disco, ricollegandosi subito all'ep Here Comes That Weird Chill, edito a fine 2003 dalla Beggars Banquet, del quale ricalca il sound diretto e strambo, con la voce in nettissima dominanza sugli strumenti, che in qualche modo ci fa ricordare - ma con le dovutissime proporzioni - il lunatico Syd Barrett, piuttosto che un Tom Waits, al quale semmai il buon Mark copiò il taglio di capelli, e l'impostazione vocale, ormai divenuta personalissima ad ogni modo.
Si prosegue con alti e bassi, e anticipando il giudizio finale, credo di poter affermare che chi sballava coi vecchi album, continuerà a farlo con Bubblegum (nonostante ci sia il tentativo di mascherare le canzoni con il sound anticipato nell'ep, i 15 pezzi qui proposti, per come sono composti e strutturati, sono fondamentalmente sempre quelli dei precedenti album), chi invece lo apprezzava come grandissimo interprete, ma decisamente musicista e artista non di primissima scelta (dove sarebbe Lanegan oggi, senza gli ingenti aiuti dei suoi amici di Seattle e oggi, del deserto californiano, che nel corso degli anni gli hanno permesso di mettere in piedi ben 6 album ed un e.p.?), continuerà a pensare che è un grande cantante, ma che se non ha fatto molto successo in un periodo in cui anche ogni boiata che usciva da Seattle, vendeva minimo 1 milione di copie, qualche motivo c'era. E sta nel fatto che nelle melodie il buon Lanegan non è certo un fenomeno.
Il disco non si esime dal partecipare alla moda delle ospitate varie e disparate di personaggi illustri e non (sempre quelli?) quali Greg Dulli, Nick Oliveri, Josh Homme, PJ Harvey, Duff e Izzy dei Guns n'Roses, Chris Goss, Dean Ween, Natasha Shneider, Alain Johannes...

Ma il punto interrogativo è soprattutto la struttura delle canzoni che, va bene il sound sporco e spartano, va bene la tipicità ormai riconosciuta della sua voce, ma sono decisamente statiche, piatte: quando ti aspetti che un brano evolva in qualche modo, ad esempio con un cambio di tempo, di melodia, non dico con una distorsione, ma almeno con un inciso/bridge/middle 8/... la canzone finisce in fading lasciando un po' l'amaro in bocca.

All'interno dell'album si respira aria di vecchio West, non dimenticando quindi gli episodi ormai non più recentissimi del Lanegan di Scraps At Midnight, in particolare nella splendida Strange Religion, semplice arpeggio di chitarra, organo hammond, basso vibrante, cori raffinati, bella canzone. Buono anche il frammento folk di Bombed, ma Mark, dopo diverse canzoni di medio basso livello come, per citarne una, Can't Come Down, caotiche e melodicamente non certo raffinate, rialza la testa solo nel finale, dove sistema una tripletta di brani che alza il valore medio di un disco da cui ci si aspettava molto di più, viste le premesse. Head, Driving Death Valley Blues, Out of Nowhere varrebbero già da sole il prezzo del cd, e ci riportano a galla un Lanegan di nuovo al di sopra della media dei cantautori - anche se lui lo è solo in parte - del rock di oggi.
Tra gli ospiti, la presenza più gradita alle nostre grezze orecchie è stata senza ombra di dubbio Polly Jean Harvey, forse perché l'unica ad aver avuto la netta opportunità di mettersi in evidenza, con la sua voce delicata e perfettamente integrata nel contesto del disco.

Bubblegum è un album che non muove poi così tanto i confini di un Lanegan pur sempre validissimo ermeneuta di alcuni ottimi pezzi folk e rock costruiti con la classica forma vincente degli anni a ritroso, ma che proprio per questo dovrebbe lasciare insoddisfatti quelli che al sesto album, e dopo la collaborazione con i qotsa, attendevano un album dal songwriting più corposo, o quantomeno rivisto e non solo personalizzato nel sound.

Carico i commenti...  con calma