L'UOMO DEL CAMPO.
Reduce dall'esperienza con gli Screaming Trees nel periodo cosiddetto "grunge", dopo due splendidi esemplari di moderno folk-blues come Whiskey For The Holy Ghost e Scraps At Midnight (in bilico fra Cohen, Cash, Tim Hardin e il Caronte Waits), Mark Lanegan approda al definitivo compendio stilistico con queste "canzoni del campo". Field Songs è una raccolta di brani sabbiosi e crepuscolari, strappati all'arida terra che si nutre di buio e luce, angeli e demoni, dannazione e pietà. Un album di riflessivi sguardi nell'abisso, ruvido come il suo autore dal profilo schivo e solitario. L'aria polverosa della vecchia Frontiera, il New Mexico e l'Arizona, la Bibbia, le storie disperate e primitive degli hobo nella Grande Depressione: sconfinati quadri impressionistici di un folksinger senza compromessi, dipinti dall'errabondo misticismo alcolico del cantautore di Ellensburg. Lo slancio epico e severo del tono baritonale di Lanegan indaga al bivio incerto tra il Bene e il Male del mondo, in un suono contaminato con la tradizione ma personale, conturbante. La produzione di John Agnello e le note acustico\elettriche dei collaboratori Ben Shepherd (fu Soundgarden), Mike Johnson e Allen Davis trascinano le visioni esistenziali del dolente canto lanegano in una dimensione ancor più intima e fuori dal tempo, esaltata dall'oculata essenzialità degli arrangiamenti.
"..When all is done and turned to dust, and insects nest inside my bones..I see i stagger in a daze outside my tent. No time for being alone..To bleed the hopeless singing of a round, that much we know to do. Before we go back underground..No easy action.."
L'intro di One Way Street è un viaggio mentale lungo distese chilometriche tra carcasse di animali, cactus e avvoltoi. Il folk-psichedelico No Easy Action emana paesaggi spettrali e ancestrali cori muliebri, in un vento di mellotron e wurlitzer, fino a sfumare nel breve bagliore discendente dell'ombrosa Miracle; che sul proprio fosco immaginario cerca catarsi e redenzione. Un organo hammond fa capolino in Pill Hill Serenade, ballata di nostalgica e dolce semplicità. Acustiche e lap steel cullano di solari carezze Kimiko's Dream House ( scritta anni prima con il compianto amico Jeffrey Lee Pierce, altro irregolare maudit da manuale), e pallidi riflessi di synth ornano She Done Too Much. Gli accordi sospesi e inesorabili di Resurrection Song riecheggiano un vecchio pezzo dello stesso Lanegan, la nota Kingdoms Of Rain, mentre i freddi squarci desolati di Field Song s'infrangono nelle onde distorte della coda conclusiva. Da antologia lo strumentale Blues For D, intessuto di suggestioni desertiche, e l'epilogo inquieto di Fix, uno stralunato folk rurale pervaso da umori acidi e sinistri rumori. Era il maggio del 2001, ma Field Songs sembra uscito da una vita. Tanta è la "classicità" presente. L'asfalto sulla strada brucia, brucia dannatamente di sudore e fantasmi. E forse non è un miraggio quella borraccia d'acqua e terriccio, lasciata a morire tra le pietre ed erbacce del deserto.
"..Let's walk down to the water. There's hyacinth in bloom..I spend my days lovin' you. I left these fields, because i never knew..To be a horse, to be a train.."
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