"Hai freddo?", gli chiedo quando comincio il quotidiano massaggio con la pomata fredda. Lui mi sussurra un lungo "nooo": chiude gli occhi come se stesse per avere un plurimo orgasmo. Sorrido, è vero, ma vorrei urlare. Faccio pressione sul polpaccio e sento distintamente sui polpastrelli tibia e perone. Pelle d'oca. Un anno e mezzo prima eravamo andati in montagna assieme per ore. Ora senza di me, il suo bastone, non riesce nemmeno ad andare al cesso. Quando va bene sette volte a notte. Le gambe, quelle da corsa in montagna che mi ha regalato, le ho prese da lui e ora non mi capacito che me lo debba portare in spalla se deve salire le scale. L'amore più puro ha il sapore acre di un pappagallo tenuto al suo posto mentre viene riempito a fatica con liquido ambrato, l'odore di mutande sporche a causa di uno sfintere ormai stanco. Una doccia con un corpo pieno di pieghe, i muscoli si sono trasferiti altrove o sono stati mangiati. "Scusami", continuami a dirmi. "Ti sto rovinando l'estate". Gli sorrido e lo bacio sulla nuca, i capelli sono andati. Vorrei dirgli di resistere, manca poco, ma non voglio togliergli speranza. Mai. Un paio di occhiali multifocali fiammanti come testimonianza che c'è un futuro. Sono cazzate, come i discorsi rivolti al futuro e i progetti. Ma sì tanti farmaci in corpo gli fanno credere tutto, per fortuna.

Mi alzo per accendere lo stereo e Mark Lenegan irrompe con questo disco di cover meraviglioso. La sua voce è ruvida, calda ed avvolgente. Lui non ha mai avuto tempo di ascoltare musica e così intrappolato nel letto per tutto il giorno ascolta quello che il disk jockey propone. "Che bella voce" mi dice; la canzone che lo sta cullando è "Creeping Coastline of Lights" e con la mano, un artiglio ormai, dondola le dita seguendo la voce ed il ritmo blando. Io sorrido e questa volta per davvero perché è l'album perfetto per fotografare questo fottuto calvario. Dolce e melodico, tristissimo e straziante lamento sotto forma di note. Sono pochi strumenti a sorreggere Lanegan in questi 35 minuti scarsi di qualità sbalorditiva. La sua preferita era "Badi-Da" con quell'arpeggio leggero che gli infondeva tranquillità. Ma la sua preferita cambiava ogni giorno e come dargli torto: pescare trote in un barile.

E' da sei mesi che il medico mi ha detto che è solo questione di tempo. Non ho nemmeno pianto quando me lo ha detto con la delicatezza di un elefante in una gioielleria. Mio fratello è sposato e vive all'estero, io ho trent'anni anni e tocca a me dare forza a mia madre e prendermi cura di lui dormendo, quando la doppia ha un solo ospite e la caposala ha pietà del tuo dolore, con lui ad oncologia. Un bel posticino non c'è che dire. Dimostrare con i fatti quello che è sì facile dire quando la realtà è un'immagine lontana e sfuocata. E ora che in un giorno di fine giugno l'ultimo filo è stato reciso con l'inizio delle cure palliative lo abbiamo portato a casa e lo sto ubriacando con la mia discografia. "I'll Take Care of You" è stata in maniera maggiore rispetto agli altri cd la nostra colonna sonora per quasi ogni massaggio quotidiano nel quale abbiamo discusso di tutto. Io preferivo la più ritmata e robusta "Boogie Boogie" con un'interpretazione più sporca o oppure "Carry Home" capace di farmi salire ogni volta un magone tremendo. Lui muoveva la testa, quella che ha un disegno di quarantacinque punti frutto dell'asportazione di una pallina (non da tennis), quando partiva la ninna nanna "Shanty Man's Life".

Ho mandato a fanculo tutto da quando è entrato in quel maledetto reparto. Alle quattro di mattina respirava ancora, se lo si può chiamare così un rantolo metallico e sofferente. E' bradicardico e ora, la sua ultima notte, il cuore vola a 110 pulsazioni al minuto. Mi stringo le mani, mi strappo alcuni capelli. Realizzo che sì, sono al suo capezzale. Apro gli occhi, sono le 6.21, e non respira più. Non me ne sono nemmeno accorto.

La grafite di quattro racchette da tennis vola dappertutto sul porticato di casa e tre tubi di palline filano in campagna spinte in alto dalla forza delle bestemmie che urlo manco fossi un cantante black metal. Le bestemmie che lui non ha mai pronunciato durante tutta la malattia. Dodici mesi di falsità per recitare una parte necessaria sono finiti e solo dopo tre mesi riesco a buttar giù quattro frasi storte per ricordarlo con questo disco tremendo. Tremendo perché ogni traccia è una stazione di un calvario che vi auguro di non dover mai provare. Solo un disco di valore assoluto può legarsi ad un vissuto in maniera sì profonda.

Lo so che non mi senti, non ci credevi neanche tu, ma anche se non è granché te la dedico comunque. Papà!

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