Magari bastasse un semplice, morigerato, amabile e confidenziale Blues, venato di Pop non particolarmente edulcorato, sottilmente ambrato di trasognato e godibile Rock, à donarci la vivificante e restauratrice salvezza dalle quotidiane, piccole o grandi che siano, dolorose tribolazioni che talvolta più o meno consapevolmente soverchiano le nostre apparentemente insensate e terrestri vicissitudini.

E d’altronde sarebbe ingeneroso chiedere un miracolo di tal natura al gentile Mark, educato e pregiato vocalist noto ai tempi per aver accompagnato nelle Sue traversie artistiche e umane, i melliflui Jayhawks. Arriva nel conchiudersi dello scorso anno, dopo quasi tre anni di silenzio nei quali le Sue personali peripezie, sentimentali oltre che di concatenata natura meramente artistica devono aver avuto il proprio congruo et insostenibile peso, al Suo nuovo e complessivamente riuscito lavoro da solista, nel quale peraltro risulta apprezzabilmente coadiuvato, in trè tracce delle undici complessive, dal noto ex compagno di ventura Mr. Gary Louris.

Angusti, tenui e spesso teneri bozzetti - sporadicamente i brani oltrepassano i tre minuti - nei quali l’acustica e il flebile ma sicuro timbro del Nostro la fanno da assoluto padrone: Mark pare mettersi completamente - musicalmente e testualmente - a nudo di fronte a chi concede ascolto; a partire dalla esangue e felpatamente graziosa quanto coinvolgente traccia d’apertura (“My Carol”), passando per la sottile ironia Countreggiante della carinissima “Winter Song” e le elegiache tenerezze profuse in “Sandy Danny”. Monsieur Olson, sostenuto dalla Sua velatamente malinconica e leggiadra west-coastiana compagnia, dona ai posteri una mezzoretta abbondante di vieppiù delizioso quanto moderatamente incantevole e ristoratore ascolto: se non è un miracolo questo poco ci manca.

 

Grazie per aver pensato a noi, Dear Mark.

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