In un passato ucronico, tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 la clonazione umana è possibile.
I cloni vengono letteralmente “allevati” fin dalla nascita e, raggiunta la maggiore età diventano “donatori”. Donatori di organi per la precisione. Dopo due o tre donazioni, generalmente, il loro ciclo vitale si esaurisce, intorno ai 28 anni di età.
La vicenda si svolge in Inghilterra, in un college, il prestigioso “Halisham” dove i cloni vengono cresciuti in modo molto “umano”. Vengono istruiti e addirittura vengono spronati a creare opere d’arte, un dipinto ad esempio.
È in questo contesto che conosciamo tre cloni-ragazzini-amici inseparabili: Kathy (Carey Mulligan), Tommy (Andrew Garfield) e Ruth (Keira Knitghley).
È attraverso di loro, ovvero dal loro punto di vista, che è proposta la vicenda.
Ad ogni modo il film non parla tanto di clonazione quanto di donazione di organi. Un tema attuale. Si pensi che ogni anno sono 800mila i donatori di organi. Inutile precisare che il bacino di donatori proviene dai paesi più poveri del pianeta: il centro-sud America, l’Africa, l’Asia. I beneficiari invece, ancora più inutile sottilinearlo, provengono dall’Europa occidentale e dagli Stai Uniti.
Quindi, sebbene si possa parlare di racconto di fantascienza, gli agganci con la realtà sono concreti tanto che, vedendo il film non si ha affatto l’impressione di star vedendo un film di fantascienza, appunto.
Considerando inoltre che la vicenda è raccontata unicamente attraverso il punto di vista dei giovani cloni, per i quali è impossibile non provare sincera empatia, ecco che ci troviamo di fronte ad un film intensamente drammatico. Noi, come loro, sappiamo che i bambini che diverranno poi ragazzi, sono destinati a morire. I cloni sono stati creati per questo motivo e loro lo sanno, fin dalla nascita. Vivono pertanto tutto ciò con una sorta di rassegnazione… ma che succede se capita ad esempio di innamorarsi davvero?
Già. I cloni sono in tutto e per tutto esseri umani.
Tratto da un romanzo del 2005 di Kazuo Ishiguro. È lo stesso autore di “Quel che resta del giorno” (due vecchi che si conoscono e si innamorano in tarda età) un romanzo completamente diverso, dunque, ma che in comune il poco tempo a disposizione che si ha per amarsi, per vivere insieme.
Questo spirito di rassegnazione, questa consapevolezza di essere al servizio di qualcosa è tipicamente orientale. Il clone è una specie di samurai e adempirà il suo compito fino alla fine, fino al sacrificio estremo, senza ribellione.
Seguiamo dunque le giornate dei ragazzi nel college. Questi bambini “speciali” che crescono insieme che non hanno una famiglia non hanno un passato. Polli da batteria.
I bambini diverranno ragazzi e l’amore darà un “senso” alle loro vite…
Il film è molto bello, intenso, delicato. Nonostante l’assunto altamente drammatico non scade mai nel pietismo, non calca mai la mano sulla spettacolarizzazione del dolore, non enfatizza lo strazio, in tal senso è molto fedele al libro, e forse proprio per questo è ancora più struggente di un comune film strappa-lacrime.
È un film del 2010. Il regista è Mark Romanek (celebre autore di video musicali come 'Bedtimestories' di Madonna o 'Scream' di Michael Jackson), la scenografia è di Mark Digby (The Millionaire). Ah, la direttrice del college è Charlotte Rampling, una vecchia volpe del cinema e nei suoi occhi gelidi dove appena si intravede un barlume di dolore per la sorte dei suoi “alunni” è racchiuso tutto il significato del film.
Comunque, ripeto, grande grande film, da non perdere assolutamente. Non so neanche se uscì nelle sale cinematografiche italiane.
Kiss me
Kiss me
Kiss me… and never let me go…
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