Casa di foglie, casa di fogli.

Il labirinto fisico dell'ambiente in apparenza più noto e confortevole, la propria casa, che diventa territorio mutevole e inesplorato, popolato della stessa oscura materia di cui è composto in nostro inconscio.

In effetti i fatti che accadono, e che sono raccolti in modo diligente, sebbene frammentario dai vari personaggi che gravitano attorno alla casa, potrebbero anche non esistere, e l'unico vero dismorfismo risiederebbe negli occhi di chi guarda.

E proprio come il lettore si trova qui costretto a girare e rigirare il libro, per interpretarne gli spazi fisici, ancor prima che semantici, anche i protagonisti si trovano intrappolati in un territorio liminare, ancora e sempre sospeso tra noto e ignoto, tra consapevolezza e inconscio.
Zampanò e Navidson, come impotenti cronisti di qualcosa di totalemente fuori controllo, inspiegabile, intangibile. Come una vita, vista in terza persona, attraverso un obiettivo fish-eye.

Mark Z. Danielewski firma un'opera a suo modo unica, enigmatica, e mutevole, nella forma e nel contenuto. Cresciuta poco a poco grazie al passaparola sul web, da una collezione di frammenti senza struttura, fino alla strana massa proteiforme, che ci cambia fra le mani, costringendoci a rigirarla continuamente, fisicamente e nella mente.

A fine lettura, cosa resta in noi di questa narrazione?

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