La morbosità trasuda copiosamente da ogni traccia di questo controverso album, ode alla viltà che finisce per essere più cinica della viltà stessa. Detonazione soffocata, energia straripante che viene trattenuta con estrema difficoltà all'interno di raffinate canzoni. I Marlene Kuntz incidono "Il Vile" nel 1996, due soli anni dopo "Catartica", ma sembra esserci un abisso tra i due album: al folgorante ed energico album d'esordio, potentissimo ma non completamente a fuoco e carente di personalità, fa seguito questo secondo imponente album, nel quale la band piemontese si lascia alle spalle tutti gli improbabili accostamenti ai Sonic Youth e consolida uno stile del tutto personale e inconfondibile.
Godano compone testi nei quali trame poeticamente decadenti si intrecciano armoniosamente con un linguaggio elegantemente volgare. La frustrazione sessuale, il servilismo più strisciante, il cinismo spietato, lo sdegno e la rabbia repressa pesano come macigni sullo stomaco di Godano, il quale non ha altro modo per esorcizzarli che elevarli a religione. Da quella esplosione di potenza e superbia che è "Retrattile", alla agghiacciante cronaca di una tragedia narrata dal punto di vista distaccato di una natura immutabile e indifferente alle sofferenze umane de "L'Agguato", passando per il "gustoso squallore" sessuale di "Cenere" e la quieta armonia di "Come Stavamo Ieri", dove un dolce arpeggio di chitarra accompagna una delle migliori poesie che Godano abbia mai scritto, fino ad arrivare all'inno all'amore malato e patologico di "Ape Regina", in cui il lento ma inesorabile incedere della sezione ritmica conduce un uomo perdutamente innamorato ad una inevitabile e terribile fine. Ma il manifesto programmatico dell'intero album è posto in chiusura: la title track contiene infatti tutti gli elementi che caratterizzano l'estetica dell'intero disco, esaltandoli con irriverenza e fiero orgoglio sopra ad un potente muro di suono. "Il Vile" è un album colto, un vero capolavoro di poetica raffinata, ma rimane comunque un album rock, imbevuto di rabbia, aggressività, superbia e urgenza espressiva.
L'onda lunga de "Il Vile" si propagherà per molto tempo e porterà ad altri due grandissimi album, "Ho Ucciso Paranoia" e "Che Cosa Vedi", prima di infrangersi in "Senza Peso", al di sotto dei suoi predecessori e meno ispirato. Ma i Marlene Kuntz sapranno reinventare loro stessi esplorando nuovi territori e riconquistando vette artistiche impensabili, ma rinunceranno a "quell'amore per l'odio" che era alla base della loro estetica.
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