"Il Vile", un album perfetto all'interno del quale non è possibile riconoscere una canzone più importante o significativa delle altre, perché tutto il suo contenuto è funzionale, significativo, imprescindibile. Un lavoro che, fosse stato frutto di un gruppo inglese o americano, sarebbe entrato nella storia del rock mondiale di prepotenza, creando un precedente difficilmente imitabile. "Il Vile" è talmente perfetto che credo abbia creato problemi agli stessi Marlene Kuntz, ingiustamente obbligati, secondo alcuni fans, a ripetere l'irripetibile. "Il Vile" è, secondo chi scrive, non solo il più bell'album italiano degli ultimi decenni, ma in assoluto uno dei più grandi capolavori della storia della musica.
3 di 3, "La mischia gaia di vipere". Ci andava coraggio ad aprire un disco con una canzone simile, come da ammissione dello stesso Cristiano Godano. E' un inizio folgorante, perverso; una freccia al cuore accompagnata da chitarre lancinanti, è un delirio di strumenti che picchiano duro, che inizia esattamente come finisce, noise italiano come non si era mai ascoltato prima, e come mai più si ascolterà.
"Retrattile" prosegue sullo stesso doloroso solco scavato dalla prima traccia. Una linea di basso apre le danze, poi Godano canta "Probabilmente io meritavo di più". Il finale si spegne in un singulto inquietante, violento e sommesso allo stesso tempo, in cui si racchiude l'anima dell'intero disco. Un disco che viene raccontato e spiegato nelle liriche stesse delle canzoni che lo compongono, all'interno delle quali troviamo i tasselli che ci spiegano il crudo perché di quest'opera. Un'opera fatalmente destinata a pochi, anche se a malincuore ("Vorrei colpire al cuore, e conquistare il tuo stupore. Ma è così dura, credi...").
Con la terza traccia, "L'agguato", il sound univoco che contraddistingue questo album prende sempre più forma, tanto che si potrebbe parlare di un genere musicale e di un'atmosfera cupa e disperata appartenenti unicamente al "Vile", un sound che sarebbe un delitto imprigionare in una qualunque categoria (per esempio il noise di cui parlavo prima). "L'agguato" è una descrizione lucida e terribile di un incidente stradale, parte sottovoce e finisce in un orgasmo di chitarre distorte mentre "Il sole scaglia/la sua gloria/e se la ghigna".
La cupa atmosfera di degrado fisico e mentale trova il suo coronamento in "Cenere", ancora un basso assassino ed un testo che trasuda morbosità e sessualità malata in ogni suo verso ("Tricorno sfonda Donna Piera/La cameriera tuba con la vagina..").
Arriva un sublime momento di pausa, pur con la riserva di una sconfitta esistenziale ineluttabile, con la vana speranza di chi ha perso tutto. E' il momento, infatti, di "Come stavamo ieri", pezzo apparentemente lento, che sfocia nel finale in un delirio sonico, e come stavamo ieri non sarà mai più domani. La traccia sarà l'unico singolo dell'album, ed in effetti per certi versi lo si può considerare come il più "orecchiabile".
"Overflash", poi, episodio più vicino a sonorità metal (d'altronde è questo il primo album che vede la partecipazione di Dan Solo), anche qui nel testo trovano sfogo repressioni sessuali ("Voglio una figa blu!") e chiari riferimenti all'eroina, sin dal titolo della canzone.
"Ape Regina", pezzo che i Marlene Kuntz proponevano dai loro primi concerti dal vivo, trova qui la sua collocazione ideale. Sunto e succo della poetica e della lirica del gruppo in questo (splendido) periodo. Concettualmente e musicalmente, collocata a metà dell'album, questa canzone potrebbe rappresentare un riassunto perfetto de "Il Vile". Atmosfere rarefatte, improvvise erezioni sonore, una voce tagliente e malata, l'ape regina divina e dorata...
Vi è a questo punto una fisiologica pausa, un'oasi di (apparente) tranquillità, rappresentata da "L'esangue Deborah" e "Ti giro intorno", quest'ultimo a mio avviso l'episodio più debole dell'album. Il finale è affidato a due pezzi quasi punk, "E non cessa di girare la mia testa in mezzo al mare", con un testo spietatamente autobiografico, e la finale "Il Vile", title-track che si apre con una domanda: "Contano di più centomila modi sfigati di tessere? E contano di più, anche se la rosa dei modi è un quarto di tre.." Ed il finale è una dichiarazione, quasi un manifesto della concezione musicale del gruppo. Vorrebbero "colpire al cuore", conquistare il nostro stupore.
E' dura, ci crediamo, ma con l'umiltà che solo chi non conosce i Marlene in modo più approfondito gli contesta di avere, credo che l'abbiano fatto in modo sublime. Un disco storico, i miei nipoti lo ascolteranno tra 20 anni, dovesse essere l'ultima stronzata che faccio in vita mia.
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