"Lo sai che qui è più facile essere condannati per aver preso a calci un cane che per l'uccisione di un indiano"
La Nazione Osage sono nativi americani non appartenenti alle cinque cosiddette tribù "civilizzate", laddove il termine va a significare l'adozione di usi e costumi occidentali e dell'uomo bianco. Non che questa scelta abbia, però, risparmiato a queste tribù ulteriori atrocità e crimini nel corso del tempo, come la deportazione forzata dagli Stati del Sud (soprattutto Georgia, Carolina del Sud e del Nord e Tennessee) verso l'Oklahoma, deportazione passata alla Storia come Sentiero delle lacrime e che ha comportato migliaia di vittime a causa del viaggio senza sosta e con pochissime provviste. Ma verso l'Oklahoma, erano stati deportati, dalla regione delle Grandi Pianure (Missouri in particolare), anche gli Osage; che in quelle terre indesiderate e scarsamente ospitali (destinate alla segregazione indiana, prima che venissero annesse all'Unione) in cui erano stati obbligati ad emigrare trovarono però la benedizione/maledizione del petrolio.
Da questa premessa inizia il viaggio di 206 minuti dell'ultimo e attesissimo film di Martin Scorsese, a quattro anni da un capolavoro come The Irishman.
Scorsese ha sempre, nel corso di una carriera pur attraversata da diverse fasi e sperimentazioni, parlato dell'avarizia, della criminalità e del denaro, uniti dalla sorgente rossa del sangue; dei rapporti familiari legati ai vincoli di parentela o di appartenenza mafiosa.
La vicenda narrata in The Killers of The Flower Moon, però, ha qualcosa di diverso e va ad esplorare un territorio per certi versi inedito nel percorso scorsesiano lungo le abiezioni e l'orrore dell'essere umano.
Se in passato il regista italoamericano ha approfondito soprattutto la criminalità degli ambienti malavitosi ("A Little Italy potevi diventare o un gangster o un prete", un po' come nel mondo de Il buono, il brutto, il cattivo, ricordò lo stesso Scorsese) o del grande capitalismo, qui ci si trova di fronte per la prima volta ad un tipo diverso di abiezione e crudeltà, in quanto perpetrato nei confronti di una parte inerme e impotente. Facendo provare le medesime sensazioni anche allo spettatore, di rimando.
Perché una cosa è mostrare morti e orrori in contesti dove tutti i personaggi sono criminali o comunque corrotti (vedi il caso comunque struggente di Jimmy Hoffa in The Irishman), o che rovistavano nel torbido sporcandosi le mani come l'agente infiltrato interpretato da DiCaprio in The Departed. Tutt'altra cosa è se queste atrocità sono unilaterali e compiute con un cinismo inconcepibile ed una malvagità sconosciuta perfino ai peggiori personaggi di Goodfellas e Casino.
Certo, è vero che determinate dinamiche sono ricorrenti e soprattutto che l'arco narrativo dei personaggi scorsesiani (sempre presi o ispirati dalla realtà: d'altronde è la realtà a superare sempre la finzione, e non viceversa) - crimini, uccisioni, una sorta di ascesa a cui segue la caduta e il carcere - è sempre lo stesso. Ma è ancora una volta nelle sfumature che va ricercata l'evoluzione di un artista e il compimento di un percorso. Al termine di The Killers of The Flower Moon ci si chiede, quindi, fatalmente: questo film cosa aggiunge alla filmografia di uno dei più grandi maestri del cinema ancora - e per fortuna nostra - in attività? Molto, è la risposta. Anche se potrebbe non sembrare così ad un primo momento.
L'esperienza di questo film è impegnativa e non banale. Non lo è per la durata e soprattutto per le tematiche affrontate, appunto. Viene mostrata l'America per quello che è, a dispetto delle continue idealizzazioni che purtroppo non tengono conto degli immensi spargimenti di sangue su cui questa grande democrazia, così ammirata e riverita, è stata edificata nel corso dei secoli.
Sulle stragi dei nativi sono molte le opere cinematografiche e letterarie, d'altronde lo stesso grande Male dell'Overlook Hotel nasce da questo. E porto sempre nel cuore Piccolo grande uomo di Arthur Penn, uno dei primissimi film a mostrare un punto di vista differente al riguardo. Che non fosse quello fordiano e dei cowboys bianchi.
The Killers of The Flower Moon ha il merito di raccontare una storia che in pochissimi conoscono, e nel farlo Scorsese, conscio della grande delicatezza e, come si diceva sopra, della diversità rispetto alle sue altre storie criminali, mette molto pudore. Se in film come i sopracitati Goodfellas e Casino poteva dare un maggiore sfoggio di particolari violenti, anche nell'ottica di un maggiore intrattenimento e umorismo nero, in questo nuovo lavoro usa un tono sommesso e rispettoso, proprio in quanto consapevole dell'enormità di quanto da lui riportato alla luce del grande schermo. Non c'è spettacolarizzazione né pornografia e, dopo un'opera come The Irishman, vero elogio funebre ad un genere e ad un'epoca, realizza un film se possibile ancora più cupo.
Alla fine non è infatti un caso se non ci sia redenzione per nessuno tra i coinvolti nei delitti, ma nemmeno una sorta di appiglio del caso. Non c'è, per il protagonista - il solito DiCaprio eccezionale - una vita borghese, per quanto squallida, ad attenderlo in una località a caso scelta dai federali. Nessun giornale da leggere al mattino dopo averlo preso sulla soglia di casa. Nessun libro di memorie da scrivere, e nemmeno il rifugio dell'omertà, del codice del silenzio e della lealtà nei confronti della famiglia (mafiosa o di sangue) anche dopo la morte di tutti gli altri membri. E la sua anima non sarà affatto ripulita e liberata come aveva forse creduto nel suo ultimo dialogo con la moglie Mollie.
The Killers of The Flower Moon riesce tuttavia a essere una storia d'amore nonostante tutto sincera, e in questo tocca momenti altissimi pur nella loro estrema brevità. Come quelli che potevano essere gli sguardi sfuggenti e solo sognati tra Daniel Day Lewis e Michelle Pfeiffer, tra Newland e la Contessa Olenska.
Scorsese è però, ovviamente, anche un autore legato al rapporto con la spiritualità, figlio della civiltà cattolica che permea la sua opera fin dai tempi di Mean Streets e che ha trovato un compimento in Silence. E il rapporto con la spiritualità torna, ora da una prospettiva differente come quella dei nativi, in questo nuovo film, con visioni, presagi, e un rapporto ancestrale con la Natura solo accennato (non siamo dalle parti di The New World di Malick) ma di grande impatto.
The Killers of The Flower Moon mette inoltre in scena un De Niro (alla decima collaborazione con Scorsese in cinquant'anni, un binomio unico nella storia) che forse interpreta il personaggio più abietto della sua carriera, e soprattutto una immensa Lily Gladstone, che per il ruolo di Mollie spero possa vincere l'Oscar 2024.
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