Uno dei più illustri guitar heroes che il rock abbia mai avuto. Mr. Friedman è tra i pochi shredder che ha saputo miscelare la musicalità con la tecnica, l'aggressività con la melodia, non si è mai soffermato all'assolo da 300 km/h e non si é mai fossilizzato sul genere che più lo ha reso noto, l'heavy metal. C'è chi non aprezza i suoi ultimi lavori, criticati per eccessiva sperimentazione sonora, ma io ritengo che questa svolta faccia parte della sua maturità stilistica e non certo per ragioni di vendita visto il suo genere, prettamente, anti-commerciale.

Marty è tra quei musicisti che hanno fatto capire la vera essenza della musica. Basta saper trasmettere le proprie emozioni anche con due accordi e un assolo semplice, cosa che non si potrebbe dire di molti suoi colleghi, i quali continuano a sfornare dischi tanto tecnici quanto noiosi. Con questo non voglio dire che i virtuosismi siano inutili, assolutamente. E' bello ascoltare ogni tanto un numero funambolico con un qualsiasi strumento ma inizia a scocciare quando diventa una routine.

Ma ora facciamo un salto indietro nel tempo, al momento della pubblicazione di questo "Dragon's Kiss" nel 1988. Il disco, interamente strumentale, fu prodotto da Friedman e Mike Varney della Shrapnel Records, etichetta discografica che ha lavorato con diversi musicisti virtuosi (Vinnie Moore, Joey Tafolla, Greg Howe e Paul Gilbert per citarne alcuni). Il genere è un neoclassical metal dalle tinte speed e thrash, ove si può avvertire già un leggero cambiamento nello stile del chitarrista rispetto alla sua band precedente, i Cacophony (meno assoli al fulmicotone e maggior spazio per la melodia). L'album è stato composto da due soli musicisti: Friedman alla chitarra e al basso assieme all'eccelso batterista Deen Castronovo. Jason Becker (amico e collega di Friedman nei Cacophony) è presente in veste di ospite nei pezzi "Saturation Point" and "Jewel".

Non faccio un'inutile analisi brano per brano e sintetizzo il suo contenuto in poche parole concise. Si passa da pezzi robusti come "Saturation Point", "Anvils" (entrambi mostrano intro batteristici di Castronovo davvero elettrizzanti) e "Evil Thrill" a pezzi più pacati e melodici come "Namida (Tears)" e "Jewel", con un Friedman da applaudire fino a spellarsi le mani. Una menzione a parte va fatta alla finale "Thunder March", brano dalle melodie coinvolgenti, ho perso il conto di quante volte l'avrò ascoltata. Con questo capolavoro, Marty ha centrato il bersaglio della vera musica, unendo sapientemente il virtuosismo al sentimento.

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