L'opera solista dell'ormai ex chitarrista dei Megadeth è quantomeno singolare: addio distorsione, addio ritmi martellanti, addio assolo con 30000 note al minuto. Tutto questo, però, senza dire addio alla tecnica, al gusto musicale, ai virtuosismi. Sentirlo in un disco solista, così com'è, preciso, nitido, senza la voce di Dave Mustaine a rovinare tutto (scusate il cinismo), è qualcosa di meraviglioso. Inoltre, cosa veramente importante, non si tratta di un disco metal: anzi, è quanto può essere più distante da tale genere. Non sopporto le etichette, ma se proprio è necessario lo chiamerei "rock strumentale": qualcosa che ricorda abbastanza da vicino le ultime produzioni di Joe Satriani. A differenza del quale, però, il nostro buon Marty cerca sempre di "contenersi", senza invadere il disco con se stesso e la propria chitarra. Una "diffusa malattia" dei guitar-hero, cui egli è assolutamente (e da sempre) immune.

Dicevo poco fa del suo "gusto": credo che sia una componente fondamentale nel sound che ha costruito. Come non restare colpiti dal tono epico di "Arrival"? Dagli assolo nitidi, e semplicemente perfetti? Dal morbido riff acustico di "Be? Dalle digressioni a tratti ambient, che molto devono ad un certo tipo di musica classica? Per non parlare della magia di "Loneliness" e lo strepitoso finale "Siberia". . . Insomma, questi 46 minuti di musica del chitarrista di "Holy Wars. . . " mi hanno veramente colpito: difficile trovare, nel panorama rock, un'opera di tale originalità e compostezza, soprattutto nell' anno di uscita del disco (1994). Le tracce si susseguono maestosamente, tutte accomunate da una specie di leit-motiv direi monumentale: l'attitudine è rimasta, e Friedman è andato oltre. . . forse un po' snobbato negli anni 90 del grunge e del pseudo-rock, ora decisamente da rivalutare. Come (quasi) tutti i dischi di cui vi parlo, del resto. . .

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