Dopo il buon album precedente (“Qualcuno stanotte”, 2014, finalista al premio Tenco) il cantautore fiorentino Massimiliano Larocca giunge al suo quarto, intitolato “Un mistero di sogni avverati”. Titolo direi quasi... poetico, e difatti il sottotitolo recita: “Massimiliano Larocca canta Dino Campana”. Cioè? Dino Campana chi? Per chi non lo sapesse è un poeta, storicamente ai margini della letteratura italiana e di recente rivalutato. Dunque di cosa stiamo parlando? Parliamo di un disco di poesia musicata. Lasciando da parte la musica classica, mettere in musica la poesia è operazione non comune; ma guardando alla canzone italiana, se avete presente “S’i’ fosse foco” di De André, capirete subito di che cosa si tratta. Nelle mani del cantautore genovese il sonetto di Cecco Angiolieri prese la forma di canzone, e alla base di “Un mistero di sogni avverati” c’è la stessa idea: prendere una poesia e trasformarla in canzone. Anzi, Larocca prende 13 poesie di Campana e ne fa un intero album, firmando la gran parte delle musiche.

L’operazione è rischiosa perché nell’Italia dell’Accademia, secondo cui da una parte ci sono i poeti, artisti di serie A, e dall’altra i cantautori che sono artisti di serie B perché una canzone non può avere lo spessore di una poesia,– in questa Italia, di fronte a un poeta riconosciuto, per un cantautore ci può essere il pericolo del timore reverenziale. Voglio dire che chi vuole mettere in canzone una poesia corre il rischio di farne una lettura musicata, in cui la musica è solo un sottofondo, bello o brutto che sia. Non è il caso di Larocca: il primo grande pregio di “Un mistero di sogni avverati” è che i suoi brani sono autentiche canzoni, con una melodia ben definita – cosa a mio avviso mai abbastanza da lodarsi – e una struttura da canzone, con ritornelli e strofe (i ritornelli quando non presenti vengono ricavati dalla ripetizione di parti del testo).

Il risultato è che “Un mistero di sogni avverati” non è pesante o accademico, come ci si potrebbe aspettare da un’operazione del genere; ma assolutamente facile all’ascolto. Un album di vere canzoni appunto.

Non ho la competenza per parlare dei testi anzi delle poesie di Campana. Dico solo che Dino Campana fu, come si usa dire, poeta maudit. Una sorta di Rimbaud italiano (gli esperti scuseranno il paragone forse improprio).

Ma veniamo al disco. Come detto le musiche sono di Larocca, tranne “La petite promenade du poéte”, “Batte botte” e “Genova”, a firma Larocca/Tesi nonché “Il russo” di Duccio Pieri/Larocca. Quanto ai musicisti, la squadra è riunita per l'occasione e si colloca a metà tra Toscana e Romagna (esattamente e forse non casualmente com’era lo stesso Dino Campana): direttore dei lavori il toscano Riccardo Tesi, maestro dell’organetto e alfiere della musica folk ed etnica (collaborazioni con De André, Fossati, Vanoni, Gianmaria Testa, Gaber, oltre a molti esponenti delle musiche popolari di vari paesi europei); esecutori creativi i romagnoli Sacri Cuori (Hugo Race, Dan Stuart, Evan Lurie e altri), già backing band nel precedente disco di Larocca e gruppo cult del panorama roots italiano e non solo.

Il risultato è affascinante: arrangiamenti essenziali, perfetta l’interazione tra l’organetto di Tesi e le chitarre à la Marc Ribot di Antonio Gramentieri leader dei Sacri Cuori. Calibrati e mai debordanti i contributi musicali di entrambi, sempre al servizio del brano, ben caratterizzati ed evocativi. Appunto il connubio tra il prevalente lirismo dell’organetto e l’elettricità, scusate il gioco di parole, delle chitarre elettriche è la cifra musicale dell’album. Un esempio per tutti: la coda della sinuosa “Genova”, dove Tesi e Gramentieri duettano di pennello fino come due pittori sulla stessa tela.

Stilisticamente “Un mistero di sogni avverati” si presenta vario come mai prima nella discografia del cantautore fiorentino: si va dalla waitsiana “La petite promenade du poète” con la voce profonda di Larocca leggermente arrochita ad arte, ai melodiosi ricami dell’organetto in “Une femme qui passe”; dal rock elettrico di “Batte botte” (splendido il dirty guitar solo di Gramentieri) alla struggente voce e chitarra acustica de “La sera di fiera”, fino al pianoforte e voce de “Il russo” nello spirito degli chansonniers francesi: una vera sorpresa per Larocca, fino a oggi vestito in stile Americana. Sorprendente la solarità di “Vi amai nella città” in versione tex-mex e di “Tre giovani fiorentine camminano”, dal sapore caraibico su cui si innesta un intermezzo in minore guidato dall’organetto; e sorprende ancora di più il tango di “Fantasia su un quadro d’Ardengo Soffici”.

“L’invetriata” è spoglia – solo chitarra acustica e chitarre elettriche effettate – e la voce è accorata come le parole (“Nel cuore della sera c'è sempre una piaga rossa languente”), come del resto in tutto il disco. Un semplice e memorabile riff di tastiera stile new-wave ricorre in “Barche amarrate”, forse l’arrangiamento più complesso del disco, con sezione ritmica, bass six, tastiere, percussioni, organetto e chitarre varie. Nel finale di “Genova” l’organetto di Tesi suona note lunghe come se sfoderasse lentamente una lama (ascoltare per credere). Il disco si chiude con la delicata e romantica slow ballad “In un momento”.

Anche la grafica del booklet è originale, con disegni acquerellati handmade by Enrico Pantani. E last but not least, “Un mistero di sogni avverati” accoglie ospiti di prestigio: in insolita veste (non vi dico quale) due nomi per tutti: Nada e l’ex Bad Seeds Hugo Race.

Con “Un mistero di sogni avverati” a mio avviso Massimiliano Larocca realizza il suo miglior lavoro. Anzi: sono convinto che questo disco prima o poi avrà il suo posto nel panorama della canzone italiana: profondo, originale, cantato e arrangiato in modo ammirevole. Niente vi è di superfluo: testi, melodie, suoni, arrangiamenti, voce. Non vi si nota un calo di tono, tutto è equilibrato e i brani finiscono sempre al momento giusto, senza parti strumentali noiose e/o onaniste. Canzoni concise e concentrate come… (a seconda dei gusti) un calcio ben assestato negli stinchi o un raggio di sole la domenica mattina attraverso le tapparelle.

Un disco perfetto. Attenzione: perfetto non nel senso comune di eccezionalmente bello (de gustibus ecc.) ma nel senso letterale di compiuto. Un disco in cui “tutto è al suo posto”.

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