I Massimo Volume non hanno mai avuto bisogno delle famigerate presentazioni, portatori com'erano di una personalità troppo forte, troppo peculiare ed originale. Hanno avuto un ruolo chiave, a posteriori, per quel che riguarda la scena italiana: post rockers quando la parola non aveva senso, un occhio a Louisville e la testa nella letteratura dei testi del bassista/"cantante" Clementi. Livelli estremi.

Un'avventura che, dopo la pausa 2002-2008, nel 2010 era giunta alla prova album, una tappa temutissima da tutte le reunion, e pericolosissima in particolare per i MV, impossibilitati a stravolgere troppo la loro formula consolidata e quindi suscettibili alla sterile riproposizione delle solite soluzioni compositive, magari unita alla perdita della loro immensa urgenza espressiva. E invece, con un gran colpo di classe, Emidio, Vittoria, Egle ed il nuovo (magnifico) acquisto Stefano hanno imbastito un'album che svetta di poco su Da Qui e si avvicina, seppur sempre con circospezione, all'inarrivabile Lungo i Bordi. Un'album vario, caldo e palpabile, interamente analogico, pieno di textures interessanti e mai digitali (i fogli accartocciati di Avevi Fretta di Andartene sono brividi, brividi). Un geniale rimescolamento di carte che li aveva tenuti in piedi, alla grande, ma anche senza muoversi dai confini dei reami da loro conosciuti.

Ma dopo 3 anni di ulteriore affiatamento, i Massimo Volume sono finalmente pronti a modificare la loro ricetta. Prima di tutto risalta agli occhi la durata dei brani: tutti 3-4 minuti, tutti con una almeno parziale insistenza sui riff, quasi nessuna sezione strumentale. Ad un esame frettoloso verrebbe da dire che è il loro album rock. Ma ascoltando bene il post rock c'è ancora, imbavagliato e contenuto, si, ma presente. Soprattutto nelle (varissime, sul serio) textures di Pilia che, grazie al grande spazio generosamente lasciatogli da Egle, si sbizzarrisce e, essendo il tutto lontano dalla divisione delle chitarre in canale dx e sx di Cattive Abitudini, amalgama alla grande le sue gesta con la ritmica sempre personale di Sommacal e con la Burattini, stavolta quasi incartata sempre nello stesso giro, ostinatissima e dannatamente efficace come suo solito. Ma un'altra cosa risalta di Aspettando i Barbari. Contrariamente soprattutto al precedente e comunque a tutti gli altri album, questo è tremendamente freddo, distante, oppressivo. In Cattive Abitudini si udiva la saliva di Emidio quando apriva la bocca per declamare. Qui non c'è intimità. Tutto è violazione (Compound, il resoconto della cattura di Bin Laden, esemplifica abbastanza bene quello che intendo). Tra i testi fanno capolino John Cage, Mao, Fuller e il cantautore in sedia a rotelle Vic Chesnutt (grazie a Flo per avermelo fatto scoprire!), comunque a lato c'è il link per una presentazione dei testi, uno per uno, fatta da Emidio stesso.

Emidio, proprio lui, cerca di cantare in questo disco; timidamente. I tentativi passati (Club Privè) non erano piaciuti. Nemmeno qui accadono miracoli, ma Dymaxion Song è un incendio che dilagherà bene ai concerti. Anche l'elettronica è presente, una componente della cui mancanza la Burattini si era più volte rammaricata. I synth di Vic Chesnutt sono magistrali. Dio delle Zecche invece è efficacissima, come il Primo Dio poi è ispirata ad un poeta, Dolci in questo caso (il testo è suo). Un pezzo che come la title track, unico momento di pausa del disco, sono già classici della band. Ma comunque il momento a mio parere più alto del disco è indubbiamente Silvia Camagni, un pezzo assolutamente allucinante, un film sonoro disturbante e algido, con pochi colori e molte sensazioni, con un finale commovente.

Insomma i Massimo Volume convincono anche quando si decidono ad uscire dal seminato. Un disco efficace, personale, diverso dai precedenti. Composto da una reunion sulla quale al tempo non si sarebbe scommesso un soldo. E invece convinzione, sincerità, impegno e coraggio hanno premiato ancora una volta. Egle e soci di confermano come uno dei pochi gruppi italiani di valore assoluto, e come persone umane e tangibili, vere. Come questo disco. E' bello che li rispecchi così tanto, getta poche ombre sul futuro. 

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