1993: anno d'esordio del gruppo bolognese guidato da Emidio Clementi, i Massimo Volume, un nome tra tanti, nessuno si sarebbe aspettato il peso che avrebbe avuto sulla scena indipendente italiana nell'intero decennio a seguire.
"Stanze", uscito per la piccola Underground Records, è sì un disco acerbo e di certo non ancora al pieno della maturità, ma mostra già quelli che saranno i tratti distintivi di Mimì & soci: strutture sonore strappate e lacerate, sorta di grunge / noise destrutturato e ricostruito in un'ottica estremamente personale, grazie soprattutto al genio di Egle Sommacal (ora Ulan Bator); un senso di mancanza e insoddisfazione continui, perennemente in bilico tra implosioni ed esplosioni d'angoscia; ma soprattutto quel cantato che cantato non è (ancora si percepiscono lievi accenni di linee melodiche vocali, grazie soprattutto ai contrappunti vocali di Vittoria), inimitabile marchio di fabbrica, pura letteratura: canzoni come dipinti di un mondo insensato e ottuso, storie di emarginazione, incomprensione e incomunicabilità, spesso vissute sulla propria pelle, raccontate con una voce disillusa e per questo ancora più vera, sincera e penetrante, che basta sentirla una volta per imprimerla indelebilmente nel cervello.

Certamente non si toccano le vette raggiunte poi con "Lungo i Bordi" e "Da Qui", ma ci sono comunque diversi episodi più che degni di nota, come la tirata 'Ronald Thomas e io', la secca e disarmante 'Alessandro', l'ipnotica 'Veduta dallo Spazio'; e ancora 'Stanze Vuote', che stilla disperazione malata da tutti i pori, e 'Cinque Strade', che risente molto della tecnica chitarristica propria di Umberto Palazzo, tra i fondatori della band prima di formare i suoi Santo Niente, altro fondamentale astro del capoluogo emiliano.

Non il loro disco migliore, ma da qui è cominciato tutto ... poesia pura.

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