La musica fluida, ad uso e consumo, che immortala un attimo o una serata.
Che fa da tappezzeria durante un cocktail o che va in classifica quando diventa un tormentone ad Ibiza.
Che esce su singolo, maxi singolo, 7 pollici, 12 pollici, su iTunes.
Molto bello. Grazie. Anche poetico se vogliamo.
Però dopo dieci anni è difficile rimettere insieme i pezzi.
La memoria non è così una buona compagna e il rischio dell'oblio è dietro l'angolo, soprattutto al sopraggiungere di nuove tendenze.
Ecco, un fenomeno come quello della Garage House è difficile da ricostruire a distanza di anni e difficilmente riscopribile a meno che qualche DJ nostalgico non piazzi qualche re-re-miscelazione in pista mentre sei comunque troppo ubriaco per prestare attenzione alla musica.
Apprezzo molto perciò operazioni come quella qui recensita, che hanno quel valore antologico necessario per dare ordine al caos (la stella danzante l'ho già partorita, sono a posto così grazie).
Parliamo di una operazione, se vogliamo colossale, che va ad antologizzare l'operato di uno degli "acts" principali del summenzionato movimento House Garagista; una miscela del classico "four on the floor" e suggestioni acid jazz, soul, latinos.
Little Louie Vega (il maestro) e Kenny Dope Gonzalez (il discepolo) partono dal Bronx, si instaurano a Manhattan e volano nelle classifiche Ibiziche; più sciccoso il primo più boom box il secondo, per almeno dieci anni dettano il verbo di un genere che trova nella pista da ballo il suo ambiente naturale ma che anche a distanza di tempo e al cambiare delle mode rimane interessante da fare girare sul piatto.
Questa prima parte dell'antologia raccoglie (come facile immaginare) i primi cinque anni di attività del duo nelle sue multiformi incarnazioni. Anni già costellati di successi anche se forse l'amalgama perfetta delle varie pulsioni non ha ancora raggiunto l'apice.
La raccolta ha il pregio di essere stata compilata dai due DJ in prima persona e si divide in quattro dischi che vanno ad esplorare ciascuno una delle varie anime del duo.
Vale la pena, antologicamente, di soffermarsi sulle varie parti per aiutare un ipotetico nuovo fruitore a orientarsi in tanto po' po' di offerta musicale.
01 - VOCALS
E qui si raccolgono le hits che hanno fatto i Big Money e Big Numeri 1.
E la raccolta si apre forse con la traccia più spacca club di tutte, punto di fusione ottimale tra la cultura latinos e la fighetteria da club di Mister Vega: "Love & Happines".
E qui c'entrano poco gli angelo azzurro, le camice bianche da clubbe trendy o la inesauribile voglia di figa dei 15enni il Sabato sera. La questione inizia in un'altra dimensione.
Succede che viene prodotto un disco salsa: "Llegó La India Via Eddie Palmieri". La India lo canta, Louie lo produce ma la leggenda è Eddie Palmieri. E in questo disco c'è una canzone che si chiama "Yemaya y Ochun" che pare essere il nome di una divinità e questa divinità appartiene a un pantheon caraibico.
Louie e La India se la intendono in quel periodo e quel nome stuzzica la loro curiosità e iniziano a interessarsi alla Yoruba e vogliono dimostrare la loro spiritualità, il ritorno alle radici e tutto un treno di cazzate di cui rideremmo se lo avessero scritto su un social network. Ma no.
Con tutto quel senso di ritorno alle origini decidono di cantarci una preghiera e la preghiera la cantano. E la registrano. E ci vuole del tribalismo. E il tribalismo lo fanno fare a niente di meno che Tito Puente che arriva nello studio, suona per un'ora, e di tutto quello che suona campionano due minuti che mandano in loop per tutta la canzone.
E il rischio pacchianata c'è alla grande ma invece il risultato finale non lo è affato, e la voce di La India è sorprendente e si racconta che quando Tito Puente la raggiunse sul palco al Sound Factory Club il club esplose ma io se ci fossi stato sarei stato troppo ubriaco e troppo focalizzato sull'unico motivo per il quale potrei andare a ballare e quindi non me ne sarei accorto. Ma sarebbe stato bello lo stesso.
Non si può non parlare anche di Barbara Tucker altra voce memorabile di questo primo disco. Donna Summer Soul degli anni 90' invita Vega a suonare a Miami. E a Miami Vega ci sta per un po' e si connette all'Underground Network e con una voce così non possono che registrare e scrivere canzoni. "Beatiful People" diventa il suo primo numero 1 con il suo doppio ritornello, la sua potenza soul, i suoi organetti e i suoi call and response. L'obiettivo era muovere il culo ma è un piacere anche fermarsi un attimo a prestarci attenzione.
Un dischetto gustoso questo primo Volume che regala anche un divertente remix di "Comin' On Strong", deliziosa nella sua ingenuità tutta anni '90, altri numeri 1 di Barbara e La India, uno dei primissimi successi di Vega (dal disco collaborazione con un allora sconosciuto Marc Anthony poi diventato il cantante salsa ad avere incassato di più in assoluto) e altre sorprese per la bellezza di un'ora e dieci.
02 -DUBS AND MAW VOCALS
Capitolo principalmente focalizzato sull'attività da re miscelatori del duo.
Forse la parte un po' meno interessante della raccolta, compila remix un po' troppo risaputi seppure molti "dubbati" in versione solo strumentale e veramente molto lontani dagli originali (Lisa Stansfield, Simply Red, gli Chic, Trey Lorenz...) ed escludendo forse episodi più interessanti come i remix per Bjork, Soul II Soul, Saint Etienne e altre compagini più vicini ai gusti di un pubblico alternative.
Di pregio invece le due tracce che vanno ad aggiornare il mambo di Tito Puente alle piste da ballo anni '90, sincretismo latinos tanto caro a Mister Vega (da notare la partecipazione diretta a questi remix di Tito Puente himself) e forse uno dei suoi traguardi più gustosi in ambito club\fighettanza.
03 - BEATS AND LOOPS
Perchè il four-on-the-floor ok ma ogni tanto anche due palle.
Kenny "Dope" Gonzales usa il nome Master At Works quando lui e la sua banda fanno le feste per gli amici a Brooklyn. Giovane scugnizzo from the block ama l'hip hop e fare casino; amici di amici, case discografiche di quartiere, i primi esperimenti, i club. Un suo pezzo arriva alle orecchie di mister Vega e la promessa è di richiamarlo ma invece è solo un bidone.
Però Gonzalez lo va a trovare a casa fino al Bronx e nasce qualcosa. Gonzales è recrutato come beat maker nel mentre che Vega fa il disco con Marc Anthony, un certo modo di farsi le ossa.
Però sì, dopo un po' il four-on-the-floor che due palle: e allora si rispolverano i vecchi vinili. E un giorno si arriva in studio con un beat campionato da un oscuro disco jazz che comunque fa tanto glamour lo stesso (d'altronde non è che stai lavorando per lo spaccino di quartiere) e su quel beat il collega ci si diverte: nasce "The Nervous Track" e per questa nuova direzione bisogna coniare l'ennesimo alias del duo. Così nasce "Nuoyorican Soul" ennesima prova di sincretismo in sala da ballo che vedrà in futuro collaborazioni con artisti del calibro di George Benson e Roy Ayers (giusto per citare i più famosi).
Nel frattempo nasce MAW Records, per essere sicuri che nulla vada perso.
La si inaugura con la serie Kenlou (qui in scaletta i primi tre capitoli) e cominciamo davvero a ingranare come si deve. Trip hop, jazz, soulfulness condensate in tre episodi veramente notevoli.
Ma ancora non siamo al meglio. E qui Kenny ci stupisce perchè fa tutto da solo e a nome (l'ennesimo...e BASTA!) BucketHeads pubblica "The Bomb". Pubblicato come B-Side, slowburner che letteralmente esplode al di là dell'oceano diventando instantanemanete un classico.
Una cavalcata di 15 minuti: pulsazioni e tribalismo sovrastate da uno scratch da terminator X in crescendo. Ci stai dentro, sei ipnotizzato, senti il ritmo nel sangue bro, from the ghetto bro: e poi tutto d'un botto i Chicago a palla che suonano Street Life. Ci sta rega, ricordiamoci sempre da dove siamo venuti bro però qui è suonata la sveglia e ci ricorda perchè siamo venuti e dove vogliamo andare. Questa notte. E tutta l'estate. E parte il trenino dei bro. Con Peter Cetera che ci canta "Street sounds swirling through my mind" e anche lui è un ragazzo della strada. E 15 minuti sono pochi.
04 - TOOLS AND GROOVES
un-due-tre-Ha!
Vi sarete chiesti come poteva mancare e invece eccola qui,in apertura dell'ultimo tomo di questa enciclopedia danzereccia.
"The Ha Dance": un gioco delle parti, lo scambio dei ruoli, forse già il suo destino. Vega che campiona i feroci rimandi all'hip hop sul beat house di Kenny. Una canzone che ha una storia, diventata inno queer, queer balck e latinos, colonna sonora delle ballroom anni 90, il finto cedimento sul quarto tempo: "Ha"!. Il ghetto del ghetto che sfila in passerella e richiede la sua parte di glamour.
Ma vale la pena continuare perchè questo quarto volume prosegue l'esplorazione deep, la commistione Jazz, i ritmi umbratili da aperitivo autunnale.
Ne vale la pena di lasciarsi avvolgere dai bassi di "Bass Tone", sofisticato esercizio ai limiti di un trip-hop in steroidi, o dal classicone "We Can Make It" con i suoi vocioni soul.
In "Reach" c'è un omaggio anche alla sirena che suonava all'Heartthrob e adesso come allora la sirena annucia il DROP. Sì, finalmente anche quei fighetti dei MAW ci piazzano il drop e su questa ci avrei ballato di gusto.
Ma è giunto il momento di riaccendere le luci, si torna alla realtà.
E cosa di meglio che un soffice tappeto ritmico per accompagnare all'uscita un giovane popolo adrenalinico e innamorato, cosa di meglio che mischiare con coolness Davisiana la tromba di Ray Vega ai controcanti soul per guidare i sogni dei ragazzi di ogni tempo alle luci del nuovo mattino.
Quattro dischi, ore di musica. Ed è solo il primo di due capitoli di questa titanica antologia: il resto ve lo lascio scoprire da soli.
Un dance floor che non finisce mai.
Carico i commenti... con calma