Una band che ti ha abituato bene fin dall'inizio la aspetti al varco ad ogni nuovo album, subodorando che il passo falso sia più probabile dell'ennesima mossa azzeccata. Nel caso dei Mastodon, poi, la prova d'esame risulta più ardua che mai, avendo loro firmato alcuni tra i più celebrati capolavori prog-metal del decennio scorso (da "Leviathan" a "Crack the skye"). E in effetti la nuova fatica "The hunter" lascia perplessi già a partire dalla copertina: una sorta di cervo carnivoro dalla tripla mandibola dentata che è stato realmente costruito e dipinto da un artigiano del legno. Che sarà mai?...

Voci di corridoio, qualche giorno fa, descrivevano questo album come il meno prog e il più metal finora registrato dal quartetto di Brent Hinds, privo di brani oltre i 6 minuti e con un piglio più facilone che in precedenza. Il primo ascolto tradisce una tangibile volontà di dirigersi verso lidi più rassicuranti, con una tracklist di ben 13 pezzi che nel complesso sembrano ammantati da un'atmosfera abbastanza americana, costruita su riff lineari ed immediati e su ritornelli cantati a più voci (i Mastodon che fanno i coretti??). La sensazione è quella di un progetto autocitazionista, dove passo passo riecheggiano leit-motiv e stilemi dei precedenti lavori in chiave più digeribile, ma anche di una specie di summa di vent'anni di scena metal, che in qualche modo metabolizza una sintesi di tutto ciò che il genere ha lasciato nell'immaginario collettivo.

Non disdicevole come operazione, tutto sommato. Ma il Mastodon-Style dov'è?

Ci vogliono sei o sette riascolti accurati per cominciare ad apprezzare le finezze e farsi entrare in testa le tracce meno accattivanti. Aldilà del fatto che la produzione del suono è di alta qualità e tutti i pezzi sono suonati e arrangiati con grande precisione, l'amalgama che i quattro di Atlanta riescono a creare in questo disco è di grande equilibrio e non dà alcun senso di appesantimento nemmeno quando si delineano i moduli base su cui è costruito. La tracklist decolla via via, tanto che il massiccio brano d'apertura "Black Tongue" scelto come primo singolo alla fine suona tra i più prevedibili. Dopo il rock stradaiolo di "The curl of the burl" e il contrappuntato di "Blasteroid" che riprende certi passaggi di "Remission" e "Blood Mountain" alternando solari schitarrate in chiave maggiore a refrain urlati rabbiosamente, le cose si fanno più intriganti con le sfumature spaziali quasi pinkfloydiane di "Stargasm" e la tarantella di "Octopus has no friend", che mette in gioco certi fraseggi tipicamente Mastodon. Passando per la banalotta "All the heavy lifting" e la inquietante splendida sludge-ballad "The hunter", nuovamente venata di retaggi pinkfloydiani nelle linee di assolo, si arriva a "Dry bone valley" (con un sound assolutamente USA e che sembra uscita da un disco dei Queensryche) e alla favolosa "Thickening", ricca di passaggi intriganti, cambi di ritmo e soprattutto di un ritornello che buca fin dal primo ascolto; sicuramente uno dei pezzi migliori. Con l'anomala "Creature lives" si trasborda temporaneamente in un mondo di suoni elettronici, voci corali e risate che ricordano molto quelle di "Brain damage" dei soliti Floyd; quindi si ritorna coi piedi per terra a cavalcare la tigre in un delirio di chitarre e tamburi che più metal non si può ("Spectrelight"), abbacinati dalle visioni allucinatorie di "Bedazzled fingernails" che sciorina voci vocoderizzate, svisate di theremin (!!!) e arpeggi ancora una volta legati alle impressioni di "Blood Mountain". E per finire la stupenda ballad evocativa "The sparrow", che galleggia trasognata in un limbo di malinconie ataviche, chiudendo con angosciata nostalgia come nella tradizione Mastodon dei primi tre album.

Tredici tracce che scivolano via con qualche intoppo determinato da episodi prevedibili e un po' fuori posto, ma nel complesso accettabili e a tratti coinvolgenti. Certo nulla che sembri poter diventare epocale, anche perchè la band ha un curriculum già consistente e la volontà di abbracciare un pubblico più vasto è evidente (e lecita).

"The Hunter" è un buon lavoro, che sforbiciato qua e là sarebbe stato più coeso e dirompente. Lo stile Mastodon è presente più nei singoli tasselli che nella complessiva stesura dei brani. Le venature propriamente prog che davano risalto al virtuosismo creativo lasciano spazio alle sensazioni immaginifiche e alle proiezioni verso l'esterno, con più momenti contemplativi che nei dischi precedenti.

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