Premessa: dopo gli ultimi anni della mia vita passati in un quasi digiuno musicale, mi son ritrovato, grazie a internet e a DeBaser, nella piú completa abbondanza musicofila. Mi sentivo come Hansel e Gretel davanti alla casa di marzapane, nutrivo la stessa gioia e ingordigia dei bambini. Poi raggiunsi la consapevolezza di non poter assaggiare tutto, rischiando un indigestione musicale. Ora dopo qualche mese di assestamento, ho deciso che cercheró di chiudere il raggio delle mie ricerche principalmente al campo della musica brasiliana, e, a due artisti di nome Fred Frith e Bill Laswell. Solo due? Si, solo due, ma questi due in realtá valgono cento e andare dietro a tutte le loro realizzazioni e collaborazioni non sará un lavoro da poco. Comincio con questo album perché é stato dove ho conosciuto Bill Laswell.

I Material nascono come collaborazione di Laswell con Michael Beinhorn in seguito al loro primo gruppo, "The Zu Band", durante i primi anni di permanenza di Laswell a New York. Dal '79 all' 82 i "Material" danno vita a tre dischi: "Temporary Music", "One Down", e "Memory Serves".

Nel '89, Laswell decide di lasciare la "Celluloid" e, con il permesso di Chris Blackwell, presidente della "Island" fonda la sussidiaria "Axiom", della quale assume il controllo e totale libertá dazione.

Sotto la "Axiom", Laswell rifonda i Material, meno come gruppo, molto piú come progetto musicale. Lui stesso dichiara: "non avevo l'interesse di formare un gruppo o di suonare con qualcuno in specifico. Ero interessato in interagire con diversi musicisti e diversi stili musicali piuttosto che rimare preso a qualcosa di definito."

Dopo "The Third Power" del´ 91, scarnamente recensito su queste pagine, esce nel ' 94 "Hallucination Engine" che vede la presenza di molti musicisti, principalmente orientali. Sembra che sia questa la chiave di lettura: una musica con forme occidentali e colori orientali.

Quello che apprezzo di Laswell é che non rinuncia facilmente al lato "fisico" della musica, a quella pulsazione organica, che in questo disco emerge con molta forza, per costruire fredde architetture cerebrali, come succede a molti musicisti che si spingono fuori dai confini di genere.

"Hallucination Engine" é carico di ritmi piacevoli immersi in un ricchissimo mondo timbrico. Ricordo di aver ascoltato la seconda traccia "Mantra" in una discoteca, se non ricordo male come apertura alle danze.

Da sottolineare subito l'importante presenza di Wayne Shorter che con preziosa umiltá dà un decisivo contributo di vitalitá e phatos a varie canzoni (soprattutto "Black Light e "Eternal Drift"). E' lui che sembra godere di maggiore libertá, (inseme al violino di Lakshmi Shankar ma solo nell´ultima traccia), visto che gli altri musicisti si trovano spesso inquadrati in uno schema che potremmo definire di "etno-dance", dove gli strumenti acustici, soprattutto le tabla di Hussein, si intrecciano con i "loops" e i "beats" di Laswell. "The Inner Garden/Naima" é la traccia piú soft dove gli strumenti solisti e la voce godono di piú respiro, non per altro é dove si sente piú il profumo d'oriente. Da evidenziare anche la presenza di William Burroughs che sorprende con il fantastico timbro della sua voce sostenuta da un blues tranquillo inframezzato dai fiati di Shorter (pena che non capisco l'inglese). Mi sembra scontato poi, dire che il basso di Laswell sostiene per tutto il tempo questo lavoro; é la benzina di questo motore delle allucinazioni .

Un album esteticamente preciso, un abbraccio elettronico all'oriente, che a causa della sua ricerca formale forse rimane un pochino freddo, un poco superficiale, in alcuni punti prolisso, ma d'altronde chi é in grado di mescolare due culture cosí differenti senza perdere qualcosa? Non credo che Laswell volesse fare un album di world music, nè tantomeno musica da discoteca, peró non é riuscito ad andare oltre, a scavare in profonditá, forse non era neppure nelle sue aspettative, forse voleva solo regalarci questo: un album ricco di bei suoni e di facile ascolto, un disco orecchiabile senza essere scontato, lontano da quei linguaggi intricati con i quali spesso ci parlano lui e il suo basso.

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