La tristezza è afflizione, è un piacere sottile, tanto confortante quanto dannoso: Demone distruttore e Musa ispiratrice insieme. Ci indurisce il cuore e ci consuma il fegato.

Impariamo a camminare nel nostro lato oscuro come un gatto nella notte, ne esploriamo ogni angolo con terrore fino a farne il nostro spazio di tranquillità, la nostra zona di conforto. Ci abituiamo così tanto al buio che il minimo spiraglio di luce ci ferisce gli occhi, ci incuriosisce, forse, ma ci atterrisce. Rifuggiamo ogni barlume di speranza, perché è perfettamente inutile sperare.

Raschiamo il fondo del barile fino a consumarci le unghie e a graffiarci le mani, alla ricerca di qualcosa, della proverbiale, inesistente fine del peggio.

Si può risalire?

Questo disco sembrerebbe suggerirci di sì. Dopo l’irresistibile abisso di disperazione di The Broken Man, un fioco bagliore rischiara l’ultimo lavoro di Matt Elliott sotto ogni aspetto: composizione, arrangiamenti, atmosfere, testi. E lo fa senza risultare stucchevole, senza incoscienza ("Prepare for Disappointment"), con la consapevolezza di chi il buio l’ha esplorato a fondo e, senza rinnegarlo, si muove cautamente verso la fine del tunnel.

Un percorso complesso e doloroso, perfettamente riassunto nella splendida, lunghissima “The Right to Cry” che, da sola, potrebbe valere l’ascolto dell’intero disco. Again, again, again

Crepuscolo, penombra: ormai solo un infarto può spezzarci il cuore, non più il nostro vizio perverso.

Eppure, nonostante ci sia chi è risalito, continuiamo a osservare il mondo esterno da dietro le tende tirate, tra le nostre quattro mura di solitudine, consapevoli del fatto che non siamo fatti per esso. Che la luce non ci appartiene.

La speranza è solo per gli altri.

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