Si possono amare alla follia oppure detestare nel profondo. Ma nessuno può obiettare che la sit-com escogitata più di vent'anni fa da Matt Groening sia diventata la serie di cartoni animati più famosa della storia. Dopo ventiquattro anni di vita e ventuno stagioni, i Simpson vantano infatti premi e riconoscimenti di ogni genere, libri, trattati, tesi di laurea, oltre ad innumerevoli tentativi di emulazione più o meno riusciti, da ''I Griffin'' fino ad ''American Dad''. L'illuminazione arrivò nell'ormai lontano 1987, quando Groening pensò bene d'ideare un nucleo familiare capace di rispecchiare nel modo più ironico e pungente possibile i difetti della società americana. Con ogni probabilità, il buon Matt non poteva certo immaginarsi che ciò che stava per disegnare sarebbe diventato negli anni un culto, un capolavoro senza tempo.
Uno dei punti di forza della serie (nonchè ragionevole elemento del suo successo planetario), risiede nel tentativo perfettamente riuscito di mettere in mostra non solo i vizi e le virtù della famiglia americana media, ma anche quello di una comunità intera, quella in cui viviamo. Vengono così creati cinque personaggi che entreranno per sempre nella leggenda della tv: Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie, ognuno rappresentato con un carattere ben evidente, ognuno descritto con abilità e scrupolo, mettendone in mostra con precisione quasi maniacale interessi, debolezze ed abitudini.
Venditori, miliardari, clown, marinai, bulli, gay, secchioni, mafiosi. Una galleria di macchiette terribilmente umane, reali, che riescono a mettere in mostra tutti i lati del loro carattere, da quelli positivi a quelli più morbosi e oscuri. In nessun altro cartone animato o sit-com che mi ricordi è mai esistita una così incredibile e ricca quantità di personaggi delineata con una tale profondità degna del miglior sceneggiatore o romanziere.
Springfield diventa così un microcosmo dove vengono catapultati gli stereotipi con cui ogni giorno dobbiamo scendere a compromessi. Ecco che la vita in questa città assomiglia maledettamente a quella in cui sguazziamo anche noi: il sindaco, icona della politica e dei suoi più illustri rappresentanti, vive nella corruzione più dilagante, tradisce sua moglie ed è costantemente sotto scandalo per liaison con donne di facili costumi (vi ricorda per caso qualcuno?). Il capo della polizia, l'uomo che dovrebbe garantire la legalità, è uno sbirro inetto, vizioso, incapace di farsi rispettare, che chiude sovente entrambi gli occhi dopo aver intascato bustarelle varie. O ancora: il reverendo, figura religiosa che dovrebbe fungere da guida spirituale per il proprio gregge, è indifferente alla propria missione, stanco di dover combattere ogni domenica con il lassismo dei suoi fedeli.
Si ride parecchio ma si ride amaro. Ci si trova davanti ad uno show irriverente, morbosamente citazionistico (non a caso, ad ogni replica televisiva, scopro particolari che mi erano sfuggiti prima o che non avevo afferrato). Uno show che usa un linguaggio comprensibile, schietto, talvolta volgare ma, nella sua veste critica, anche impegnativo, apprezzabile appieno da una cert'età in poi. Ok, magari qualche personaggio sarà pure un pò scurrile e boccaccesco; culi di fuori, rutti, scoregge, parolacce fanno infatti spesso capolino e per questo alcuni genitori ne vietano categoricamente la visione ai piccoli. Ma...parliamoci chiaro: perchè impedire ai propri figli lo spettacolo di un programma che altro non è che la descrizione precisa della realtà, quando basta fare zapping in un canale a caso ad una qualsiasi ora del giorno (anche in fasce pro-tette) per ammirare chiappe fluenti, pseudo-reality Orwelliani, davanzali sbarazzini e tamarrate di ogni specie?
Come è capitato a me, con Matt Groening e con i Simpson, un giorno, i miei figli ci cresceranno. E a chi non starà bene... ''Ciucciatevi il calzino!''.
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