Nel 2000 il primo progetto a "duo" fra Tony Wakeford e Matt Howden (mente dei Sieben, nonché all'epoca violinista dei Sol Invictus) era un disco perlopiù strumentale dedicato a due rune: Three Nine si inquadrava nella tradizione di ambient depravato e speditamente avanguardista perseguita da Wakeford fin dalla collaborazione datata 1992 con l'amico Steven Stapleton (Nurse With Wound); purtroppo l'album era un discreto fallimento, sospeso in una tensione irrisolta e perlopiù atematica/atonale, preparato su basi sintetiche (o acustiche) adatte agli svolazzi violinistici di Howden ma prive di coerenza compositiva e - tantomeno - di interesse melodico.
Wormwood (2003) è tutt'altro disco: esso si inquadra fin dal principio, fin dal titolo - per chi sappia immediatamente decifrarlo - nella tradizione di cantautorato "apocalittico" inaugurata dall'ebreo Bob "Dylan" Zimmerman (A Hard Rain's a Gonna Fall), ed è anzi un intero "concept album" sulla Apocalisse di Giovanni; "Wormwood" è l'arthemisia absinthium, che intorbidisce e rende amare e velenose le acque nella visione apocalittica del giovane evangelista. Ora, senza entrare nel merito della contraddizione principale (la mente dei Sol Invictus che medita un album di tema sfacciatamente biblico), si capisce che Wakeford sia più in grado di padroneggiare il formato, tanto più che la maggior parte dei brani rispetta la forma canzone, cui il buon Tony è ancorato - pur malvolentieri - dalla propria deficienza compositiva (nota agli ascoltatori del suo sfortunato progetto "L'Orchestre Noir").
Se a ciò si aggiungono gli arrangiamenti intricati e competentissimi partoriti dalla mente di Matt Howden, è evidente che ci troviamo di fronte ad un disco di una certa caratura: "Brief As a Flower", "Thy Mother", "The Lamb" sono episodi di assoluto valore, che spiccano in una tessitura classicheggiante di grande impatto, in cui il violino si libra senza sovraffollare di svolazzi le panoramiche sonore; la maturazione di Wakeford come cantautore si realizza sia nelle sue non più goffe interpretazioni vocali, sia nel suo approccio più complesso alla composizione ("The Wormwood Season").
Tutto sommato, un album più che degno, con qualche momento davvero eccellente.
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