Ha fatto storcere il naso a molti il film di Matt Reeves: un horror remake dello svedese "Lasciami entrare" di Tomas Alfredson, per di più adattato da un libro di John Ajvide Lindqvist. Insomma le premesse erano quelle della poltiglia scontata: se a ciò aggiungiamo che il film narra la storia di una bambina "vampiro", capirete che almeno all'inizio tutti i dubbi erano più che fondati.
Anche io mi ero fatta un'idea tutta strana di "Let me in" (questo il titolo del remake, in Italia giunto con l'aberrante Blood story). Mi aspettavo la solita pellicola iper cazzata in cui bambinelli vari squartano e versano litri e litri di sangue. Non che questo sia un fattore estraneo a Let me in, ma limitarlo all'etichetta dell'horror bambinesco e facilotto sarebbe un errore.
"Let me in" è apparso nelle sale americane nello scorso 2010 e quest'anno è approdato anche in Italia. Racconta la vicenda di Owen (Kodi Smit McPhee) e Abby (Chloe Grace Moretz), il primo ragazzo emarginato, con problemi a scuola e a casa, la seconda una figura misteriosa che si trasferisce nello stesso condominio in cui vive Owen. Dopo i tentennamenti iniziali i due instaurano un rapporto di amicizia che pian piano va oltre fino a diventare "amore. E' questo il primo elemento che mi ha piacevolmente stupito della pellicola di Reeves: una storia d'amore, l'approccio giovanile di due bambini/ragazzi con l'altro sesso. Un legame affettivo che ci viene descritto da una regia precisa, mai eccessiva e soprattutto ben congeniata tra i momenti soft e le esplosioni propriamente orrorifiche.
Altro merito importante di Reeves, già cineasta del discusso "Cloverfield", è l'aver affidato il film ad una coppia di attori giovanissimi senza essere affiancati da altri personaggi di pari importanza. Sono loro due che reggono da soli l'intero film mostrando una personalità non da poco. Ma soprattutto quello che rende "Let me in" un film interessante è il suo essere horror pur non essendolo: ci troviamo di fronte a quella che essenzialmente ci viene presentata come una storia d'amore, tutta giocata su sguardi, sorrisi e paure e con il perenne elemento musicale in sottofondo. Proprio la colonna sonora del Premio Oscar Michael Giacchino ("Up") serve a creare un'atmosfera tesa e "palpabile" per l'intera durata della pellicola, senza disdegnare una malinconia di fondo facilmente rintracciabile.
Il film di Matt Reeves ha ancora quelle banalità che un amante dell'horror, ma più in generale del cinema, non vorrebbe vedere come per esempio la mano fin troppo calcata nel rapporto Owen/bulli scolastici, ma quì non dobbiamo dimenticarci che il tutto viene fedelmente ripreso dal romanzo di Lindqvist. Eppure "Let me in" possiede una forza che non è soltanto quella gore (almeno tre scene degne di nota) ma ha in particolare un impatto diverso, malleabile, che lo rende "vero" più di altre storie simili, che lo rende fin troppo reale grazie ad un legame portato sul grande schermo in modo egregio da due attori giovanissimi. Un horror atipico, che pur sembrando in diverse parti troppo "costruito" riesce anche a commuovere, a spiazzare...
Voto 3 e mezzo.
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