Probabilmente non sono in grado di dare una valutazione oggettiva su quello che è l'universo complessivo e oramai 'franchise' che si è venuto a costruire negli anni sull'immaginario derivante dal romanzo 'Les Planète des Singer' di Pierre Boulle e in particolare dal primo film ad esso ispirato, il celebre 'Planet of the Apes' di Franklin J. Schaffner.
Questo perché il film in questione non è solo una delle mie opere cinematografiche preferite, questo sotto tutto gli aspetti avendo anche io personalmente una certa preferenza nei confronti di una certa fantascienza di natura speculativa, ma è anche qualche cosa che considero un'opera centrale in quello che è un mio mondo concettuale e che posso modestamente definire una mia piccola 'cosmologia' personale e che come tale chiaramente esula dal considerare l'opera secondo quello che può essere l'interesse al solo aspetto tradizionale cinematografico.
Opera fondamentale di una certa fantascienza tipica di quegli anni e simbolicamente critica e suggestiva nei suoi contenuti al contesto geopolitico dell'epoca e in particolare in riferimento alla paura di un possibile scoppio di una terza guerra mondiale e di un conflitto nucleare (tema che pare essere forzatamente ritornato di moda anche se a due buffoni come Donald Trump e Kim Jong Un non gli dà credito nessuno) 'Il pianeta delle scimmie' ha invero un forte contenuto sociologico che poi sarà una costante anche dei film successivi che uscirono in quegli anni e che ponevano, riproponendo il tema di una evoluzione dei primati al contempo di una degenerazione della specie umana, tutta una serie di temi etici che considero senza tempo e che hanno reso il film e l'intero 'franchise' un 'classico' del genere e del cinema di quegli anni. Un'opera omnia fortemente significativa anche sul piano puramente iconografico.
A partire ovviamente (non potrebbe essere altrimenti) dalla celebre 'istantanea' della scena finale. Una delle scene immortali della storia del cinema e della cultura occidentale del secolo scorso.
Riproposto con forza da Tim Burton con un discreto film nel 2001, il mondo creato da Pierre Boulle è ritornato prepotentemente alla ribalda sul grande schermo a partire dal 2011 con questa 'trilogia' di cui questo 'War for the Planet of the Apes' uscito nelle sale italiane a partire dallo scorso luglio e diretto dal regista Matt Reeves, costituisce il terzo e ultimo capitolo.
Prima di entrare in medias res e parlare del film nei suoi contenuti, pongo una questione di natura ideologica. Mi spiego: dove dobbiamo collocare il mondo del pianeta delle scimmie all'interno del macro-universo della fantascienza? Io ho spiegato alcune delle ragioni per cui ritengo questa serie di film degni di un giudizio e considerazioni che esulino la sola natura di intrattenimento dell'opera. Ma è indubbio che in particolare questa ultima trilogia sia in generale molto meno ricca di argomenti che si prestino a argomentazioni di natura speculativa (se non di natura derivativa rispetto al corpus originale dell'intera opera) e come tale può fare facilmente cadere le mie considerazioni. Quindi penso che il mio giudizio precedentemente esposto vada più considerato relativamente una certa fantascienza hollywoodiana pre-Star Wars, cioè prima che pupazzoni di mostriciattoli come se fossimo in uno dei film giapponesi su Godzilla e spade laser diventassero il cuore della fantascienza Made in USA rivoluzionando in maniera definitiva il genere.
E questo film del resto è anche esso in larga parte figlio di questo cinema americano teso alla spettacolarizzazione e che ai contenuti preferisce anteporre scene d'azione e effetti speciali di cui, diciamocelo chiaramente, alla fine oramai non ce ne frega proprio più niente.
In questo senso le novità si succedono con una frequenza tale che non ci stupiamo più davanti a nulla.
Ognuno potrà dire la sua in questo senso ma quando qualcuno mi dice di andare a vedere un determinato film per gli 'effetti speciali' francamente non capisco.
Di più: sinceramente da questo punto di vista penso che le maggiori e più interessanti e visibili innovazioni riguardino il mondo delle animazioni.
Ritornando al film, la storia di questo terzo capitolo della trilogia, cominciata nel 2011 con 'Rise of the Planet of the Apes' e proseguita nel 2014 con 'Dawn of the Planet of the Apes' va a fondo nelle vicende e vede Cesare di nuovo anteposto (il film precedente era fondato sul contrasto tra Cesare e il suo antagonista Koba) a una sua nemesi ideale e che questa volta invece che una scimmia, è invece un uomo in carne. Parliamo chiaramente di un militare. Un colonnello dell'esercito americano e che ucciderà la moglie e uno dei figli di Cesare, scatenando in questi una atavica sete di vendetta così feroce e prepotente da farlo quasi sembrare... un uomo.
È così che il film si riduce per lo più a uno scontro facilone tra bene e male e dove le scimmie buone hanno alla fine la meglio sugli uomini cattivi, che allo sbando a causa della diffusione di un virus che agisce in maniera opposta a quello del medicinale genetico che ha dato vita a questa nuova specie di primati e di cui Cesare è il capostipite, si avviano verso quella che appare una inevitabile distruzione.
In una differenza tracciata così nettamente tra bene e male, il regista si muove facilmente nel dipanare la trama del film fondata esclusivamnte su spettacolose scene di azione e non osa praticamente mai, anche quando potrebbe e sollevando così - potenzialmente - questioni altamente morali che potrebbero suscitare anche una certa inquietudine negli spettatori che vengono invece rassicurati dallo scorrere dinamico e vorticoso degli eventi fino a quello che è il più tradizionale lieto fine e dove in una scena idilliaca e rappresentativa di una felicità simbolica, quasi pastorale, come i paesaggi racconti da Giovanni Pascoli oppure più indietro nel tempo dal Virgilio ne 'Le Bucoliche, assistiamo a questo ritorno alla natura e dove sono le scimmie gli unici possibili protagonisti dato che il tempo per l'uomo appare oramai essere scaduto.
Infinite le citazioni agli altri film della serie, così come quelli che possono essere gli intrecci e anche sono tantissime le domande e i punti interrogativi aperti. Ma questo è un aspetto voluto per un'opera che forse ha senso solo se considerata a uso e consumo dei cultori del genere.
Peccato comunque.
Perché in un certo parallelismo con 'Apocalypse Now', facilitato da una interpretrazione pure non eccelsa ma sempre preziosa di Woody Harrelson nel ruolo dell'antagonista, Cesare avrebbe forse potuto cambiare con un solo gesto l'inerzia dell'intero film. Ma il dito non preme il grilletto nel momento decisivo e il nostro eroe, mezzo guerriero, mezzo patriarca, sceglie in maniera forzata la via del perdono confermandosi quello che è il capostipite di una nuova e inedita ma apparentemente (stando alla trama del film) affatto inquietante capitolo della storia dell'evoluzione e delle specie che abitano il nostro pianeta.
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