Chiunque, specie dopo la conclusione dell'ultimo Festival di Cannes, ha sentito almeno qualche chiacchiera sul fatto di cronaca che ha ispirato il soggetto di Dogman.
Era più o meno dappertutto: dalla notiziola di Upday che annunciava una richiesta di risarcimento da parte di Vincenzina Ricci ai danni del regista Matteo Garrone, al servizio de Le Iene alle prese con una mirabolante intervista (alla Alan Tonetti) al Canaro della Magliana, sino alla prima serata tv in Un giorno in pretura, con gli highlights del processo a De Negri e tanto di invito della Petrelluzzi a vedersi il film al Cinema.
I fatti, la magliana, la verità, l'evirazione, lo shampoo, insomma l'ispirazione, la lasciamo un attimo da parte. La storia di Marcello e Simone è la storia di un rapporto, due polarità che si attraggono e si invertono, gli antipodi che si incontrano, le parallele che si toccano. Da una parte un uomo mite che cerca qualche extra nell'illegalità, dall'altra l'irruenza incontenibile di una bestia che esercita il suo potere volutamente fisico, inconsciamente psicologico. Non c'è nessuna vendetta. Non c'è nessun Davide contro Golia. Qui Davide salva la vita al suo Golia, si prende una condanna al posto suo, lo segue, lo cerca, con conseguenze inevitabili.
Garrone non forza la mano per sfoderare uno stile che sia riconoscibile, preferisce trovare la fotografia giusta, trasformare il set in un palcoscenico, dirigere l'orchestra e dare alla tecnica una funzione descrittivo-empatica. Basta pensare agli ingressi in scena di Simone, mai annunciati da uno stacco o da un movimento di macchina: l'obiettivo rimane sempre su Marcello, ed è quando il suo sguardo cambia e il suo atteggiamento si fa intimorito che Simone è prepotentemente entrato in scena. In effetti Marcello Fonte sta di fronte all'obiettivo per quasi tutta la durata del film, ma nonostante l'onnipresenza e la prestazione che lascia senza parole nulla di tutto il resto passa in secondo piano. A cominciare da Edoardo Pesce (che interpreta Simone). Marcello Fonte, non propriamente un attore finito ma manco uno a caso preso dalla strada, ha neorealismo stampato sulla faccia. Per il suo ruolo serviva esattamente quello che Marcello Fonte è. Ma Edoardo Pesce è un altra storia, e da sempliciotto cesarone ruba la stazza a Marv di Sin City, diventa cocainomane, e tira fuori la prestazione da risposta italiana a Tom Hardy.
Un dualsimo come pretesto per trovare l'equilibrio nella confusione, scappando da sè stessi e ritrovandosi soli. E pensare che tra qualche giorno dovrebbe uscire una seconda pellicola che trae spunto dalla stessa vicenda, Rabbia Furiosa - Er Canaro, di Sergio Stivaletti che a giudicare dal trailer sembrerebbe accontentare tutti quelli che nel lavoro di Garrone ipotizzavano di trovare un'ora e mezza di tortura, la vendetta del debole sul più forte, quanto (pare essere) di più lontano dalla sontuosa opera che è Dogman.
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