La cinepresa, come l'occhio umano, scandisce il passaggio dei corpi all'orizzonte. Corpi che sono ombre, confini, involucri corrosi dal degrado del mondo. Corpi osceni, bellissimi, deformi, ritoccati ma ciò che sta dentro non lo si può vedere. Tolte le viscere possono essere riempiti a piacimento: nuovi scheletri di fil di ferro, nuove carni di cotone, nuovi occhi di vetro e tutt'intorno lo stesso aspetto, la stessa forma. Corpi immutabili ed eterni. Corpi ricolmi di morte.

Peppino è un nano sui cinquanta, esperto imbalsamatore che coopera sistematicamente con la Camorra: farcisce cadaveri di coca e li trasporta in giro per il paese. Una vita gretta ed asociale, profondamente meschina. Valerio è un giovane fascinoso, di una bellezza accecante ma candida. Troppo alto e troppo sorridente per questa vita insulsa e sporca. Angoscia ed incanto, attrazione e repulsione, gratitudine ed irriconoscenza legano a doppio filo il ragazzo al nano. Peppino lo paga per far parte della sua collezione di corpi: gli offre un lavoro da apprendista, lo accoglie nella sua casa, diventa la sua ancora di salvataggio, il suo compagno inseparabile. Peppino è attratto da Valerio. Vuole possedere la sua bellezza, imbalsamarla per conservarla intatta nel tempo; gli dona attenzioni, regali, certezze ed organizza orgie a base di prostitute solo per sfiorare di nascosto il suo desiderio: così diverso, così complementare. Valerio resta attonito ed inebetito di fronte all'inesorabile svuotamento della sua esistenza. Pare non porsi e non porre domande. Pare incapace di esser uomo e di vivere.

Poi un viaggio dalla Campania fino al cuore della Pianura Padana ed ecco Deborah: attraente, sboccata ed irritabile. L'altro lato del triangolo. Il crocevia. Da una parte un mondo di piaceri perversi, di facili vizi all'ombra della sua inettitudine e della criminalità organizzata; dall'altra il grigiore della quotidianità piccolo-borghese, in casa coi genitori di lei, in una Cremona corrucciata e smorta, dove la nebbia e la prospettiva di diventare padre sono condizione esistenziale futura. Cosa scegliere? 

Forse la vita (intesa come bellezza e soprattutto come sua inconsolabile ricerca) la quale però collima, in tutti e tre i lati, con la menzogna, il compromesso, con la rassegnata impossibilità di essere felici.

In un Casertano paralizzato da acquitrini abusivi ed immondizia, dove anche il mare sembra un'enorme carcassa, Garrone mette a disposizione della pellicola tutto se stesso, le sue travolgenti idee ed il suo Corpo. Una continua proposta di stilemi visivi accattivanti è ciò che colpisce lo spettatore fin dalla prima scena: primi piani improbabili, stacchi improvvisi di ripresa, uso di carrelli e di piani sequenza schizzati (come nei frequenti dialoghi tra Peppino e Valerio, con quell'incessante alzarsi ed abbassarsi della macchina) capaci di produrre immagini intense e di grande effetto. Persino le parole, a volte quasi incomprensibili nella loro stretta terminologia campana, riescono nell'intento di provocare quell'alone di straniamento e problematicità che ostinatamente (e crudelmente) si cerca di enfatizzare. Pressochè impeccabile in tal senso la prova di Ernesto Mahieux, alias l'Imbalsamatore: un ruolo che gli calza a pennello e dove riesce a far emergere con assoluta bravura l'ambiguità fragile, ossessionata e corrotta del personaggio.

Al suo quarto lavoro Matteo Garrone intraprende la strada maestra che lo porterà fin sulla vetta del cinema italiano contemporaneo. E lo fa non limitandosi a firmare la regia di un film: macchina da presa in spalla, sceglie di assaggiare la scena, lì, costantemente in mezzo agli attori, di vivere i dialoghi, gli umori, le immagini. Il risultato finale è da elogiare non solo artisticamente: sequenze che trasmettono appieno la loro meticolosa preparazione (i colori, la fotografia, i movimenti) e che denotano, al tempo stesso, uno spontaneo ed ambizioso spirito di improvvisazione, alla ricerca di una naturalezza assai seducente e sconosciuta al cinema tricolore degli ultimi anni.

Non solo Gomorra.

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