Una storia di Democrazia Proletaria, ovvero, casomai ci fosse bisogno di spiegarlo, sia del partito Dp che di quello strano esperimento omonimo che, in un modo o nell'altro, tentò di mettere sotto un unico tetto quel che di buono c'era alla sinistra del Pci negli anni Settanta e Ottanta. Forse erano sbagliati i tempi, forse le teste, bravi sempre a dividersi in mille microcorrenti, ma chissà, oggi forse un partito come questo potrebbe aspirare a risultati ben migliori dei magrissimi (e già di per sè vittoriosi) 2% ai quali è stato abituato per vent'anni.
Sia chiaro, in Italia essere di sinistra e non riconoscersi nè nel "borghese" Psi nè nell'"operaista" Pci era un'eresia. Altre formazioni laiche di sinistra che si richiamassero comunque ai valori del socialismo contavano meno di niente, buone giusto a fare da stampella a qualche caracollante governo Dc alla bisogna. Nata sul finire degli anni Settanta, Dp avrebbe avuto il merito di portare avanti una serie di temi, in un puro stile da partito di opinione, che forse risultano attuali più oggi che all'epoca, in anticipo sui tempi: diritti civili, pacifismo, ambientalismo, questioni internazionali. Se il Pci, che comunque vedeva come fumo negli occhi qualsiasi cosa si muovesse alla sua sinistra, era troppo ingessato, bigotto, moralista e troppo occupato a perdersi in compromessi più o meno storici, quell'ingombrante universo pieno di sigle e di falci e martelli che si trovava alla sua sinistra di stare fermo non ne voleva proprio sapere. Dal Sessantotto e dal Movimento Studentesco sarebbero sorte un'infinità di esperienze spesso effimere, ma comunque vitali, costantemente indecise tra "movimento" e "partito", e si doveva essere davvero ciechi per non rendersi conto che qualcosa di nuovo stava arrivando, che i "partiti tradizionali" per parte di una generazione iniziavano a puzzare di muffa e c'era bisogno di più picchetti e volontini e meno inciuci con gli emissare del Vaticano.
Riportare l'elenco completo di tutte quei gruppi sarebbe impresa degna di Ercole, con formazioni spesso dalla vita brevissima e spesso trascorsa a fare "critica da sinistra" a qualcun altro, possibilmente all'interno del partito stesso. Uno su tutti va ricordato Il Manifesto, ovvero quegli eretici brutti brutti che in pieno '68 si permettevano di essere col cuore e con la testa più vicini a Pechino e al Libretto Rosso che a Mosca e a qualche polveroso piano quinquennale. Buttati fuori dal Pci con l'accusa di frazionismo e prontamente sconfessati da l'Unità, sarebbero stati protagonisti di quegli anni anche grazie ad un quotidiano che, problemi di cassa permettendo, è in edicola ancora oggi. Nonostante le piccole dimensioni, quasi carbonare, Dp riuscì ad essere non solo il megafono, seppur piccolo, di grandi temi, ma spesso a parlare nel megafono c'erano anche grandi personalità, come Foa, Capanna, Russo Spena, senza poi dimenticare quella discussissima candidatura di Paolo Villaggio alle elezioni dell'87. A vedere il simbolo di partito, classico falce e martello sullo sfondo e pugno chiuso in primo piano, non lo si direbbe, ma Dp riuscì ad essere davvero una forza trasversale, che riusciva a riscuotere simpatie sia tra i delusi del Pci che tra i "cattolici del dissenso", ovvero quei cattolici progressisti che di stare sotto lo scudo crociato non volevano proprio saperne, tra riscoperta del Vangelo e Teologia della Liberazione. Non ricordare poi una figura come Peppino Impastato e il suo impegno contro la "montagna di merda" Mafia sarebbe impossibile.
Gli anni Ottanta danno un po' la mazzata definitiva, tra elezioni che non vanno come si spera e scissioni, con quello spirito ambientalista demoproletario che sarebbe stato poi incarnato da formazioni come quella dei Verdi. Il '91 è la pietra tombale, a Botteghe Oscure cambiano ragione sociale, un gruppetto di "dissidenti" non ci sta e si confluisce tutti in quell'altra avventura che sarebbe stata Rifondazione Comunista, tutta un'altra storia. Forse ai "tempi d'oro" i suoi stessi militanti non se ne rendevano conto, ma davvero la storia di Dp e in generali di tutta la super sinistra del tempo, spesso assume i tratti di un racconto epico, tra scontri, dissidi, scissioni, un progetto tanto grande quanto spesso irrealizzabile, eternamente schiacciati tra Washington e Mosca, tra Stato e Br.
Matteo Pucciarelli riesce a raccontare, bene, la storia di Democrazia Proletaria senza nostalgie o esaltazioni di sorta, con uno stile asciutto e avvalendosi di un bel po' di testimonianze di chi quegli anni li ha vissuti in prima persona. Sicuramente un lavoro interessante e un'occasione non solo per poter riflettere sul ruolo della "sinistra radicale" oggi in Italia ma anche per ricordare come tutta una serie di temi e di battaglie vengano da molto lontano.
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