La possibile, anche se non certa e tutta verificare, cessazione dell'esperienza berlusconiana, mi ha spinto alla stesura di un sintetico saggio dedicato ai possibili sviluppi politici del decennio ingrediente, valutando quali possibili leadership si possano affacciare sull'orizzonte degli eventi e della nostra stessa esperienza.
In tempi non sospetti, ebbi a chiarire nella mia scheda come la possibile leadership dello schieramento moderato potesse essere ricoperta da una figura di indubbio rilievo come Marina Berlusconi, erede del padre non solo sotto il decisivo profilo economico, ma anche, e soprattutto - stanti le numerose interviste ed i frequenti interventi pubblici - sotto il profilo spirituale e delle connessa strategia politica. Su questa vicenda, il giudizio non può che rimanere tuttavia sospeso, in attesa dello svolgersi dei nudi fatti.
Sul campo, due sembrano i leader maggiormente pronti a guidare le forze moderate: in senso tradizionale, ed in continuità con il pensiero e le azioni berlusconiane, spicca certamente la figura di Angelino Alfano, attuale segretario del PDL ed ex Ministro della Giustizia, distintosi per la franchezza della sua lotta antimafia e per la capacità di sintetizzare gli opposti interessi del ceto magistratuale e della società civile nei difficili anni in cui fu a capo di Via Arenula.
Il secondo - ancor più significativo ed incisivo - è invece legato alla figura di Matteo Renzi, giovane (n. 1975) Sindaco di Firenze leader di una corrente frettolosamente definita dall'establishment come gruppo dei "rottamatori"; da diversi mesi, fautore di una discontinuità nella politica della sinistra che mira ad intercettare tanto gli elettori moderati delusi dalle recenti politiche di centro-destra, quanto la popolazione giovanile che non si riconosce nella figura di Berlusconi né nei suoi contraltari storici di sinistra, siano essi D'Alema, Bersani, Vendola ed, in parte, Di Pietro.
Per quel che più rileva, Renzi è fresco autore di un manifesto programmatico che della sua vita ed esperienza si nutre, sul quale è bene soffermarsi per non farci sfuggire, come già accaduto in passato, lo Spirito del tempo.
Già autore, assieme a Lapo Pistelli, del volume "Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro: la politica spiegata a mio fratello" ('99), Renzi fa parte di una generazione che si affacciò nell'impegno politico negli anni della presunta rinascita successiva all'inchiesta "Mani Pulite", e, patì, negli anni successivi, il fallimento dei governi di centro-sinistra guidati da Romano Prodi, Massimo d'Alema e Giuliano Amato, prodromo della lunga stagione berlusconiana definitivamente avviata nella primavera del 2001.
La conoscenza di cocenti sconfitte nazionali, coniugata con le numerose vittorie dello schieramento di sinistra nelle elezioni amministrative della Regione di cui il Nostro è originario, rappresenta il presupposto per l'analisi critica delle politiche vigenti e delle strategie attraverso cui il PD ha definito le proprie politiche e le proprie leadership. Politiche vincenti a livello locale, e perdenti a livello nazionale.
Le ricette proposte da Renzi, che richiamo sinteticamente anche per essere note a tutti i lettori che abbiano seguito la recente convention della "Leopolda", possono essere tutte sintetizzate attorno a pochi, ma netti, concetti chiave: maggiore compenetrazione fra Partito e società civile; maggiore partecipazione dei singoli alla vita del partito; trasparenza nella selezione dei quadri intermedi e dei leader; definizione di leadership come rappresentanza di esigenze comuni a tutti gli elettori, e non come autocratico comando dell'apparato partito; valorizzazione delle forze vive della società nella gestione della cosa pubblica.
In filigrana, sembra di scorgere un ritorno al '93, ed alla stagione di rinnovamento che il giovane Renzi vide affacciarsi nell'opera infaticabile dei comitati referendari, che portarono, fra gli altri, al rinnovamento dei sistemi elettorali locali: prodromo, se ci si pensa, delle vittorie locali di un centro sinistra più a suo agio nella soluzione di problemi concreti che nella creazione di mitologie politiche adatte a cogliere la contemporaneità.
Non vanno nascoste, a tale proposito, le numerose critiche avanzate nei confronti di questo programma e della figura di Renzi stesso.
Per alcuni, si tratterebbe di semplici slogan privi di un effettivo contenuto, ed inadatti ad innescare il rinnovamento di cui il Paese avrebbe bisogno; per altri, si tratterebbe di concezioni superate che richiamano il modello, poi fallito, di big Society anglosassone, proposto da Blair a fine anni '90 e risoltosi, alla prova dei fatti, in una privatizzazione della cosa pubblica, rimessa alla buona volontà dei singoli ed alle qualità dei politici che attuano le varie riforme; per altri ancora, Renzi stesso ed il suo programma non sarebbero che una variante edulcorata del liberalesimo berlusconiano, estranee al dna della stessa sinistra, laddove lo Stato sociale non è colto come la soluzione, ma come un possibile problema, o, meglio, come un ostacolo alla libera esplicazione della personalità individuale, anche in chiave di riduzione delle disuguaglianze; per altri ancora, Renzi ed i suoi giovani sodali (fra cui spicca la figura di Giorgio Gori) sarebbero dei semplici arrivisti, figli di una generazione che è cresciuta con Berlusconi o grazie a Berlusconi - simbolica la partecipazione del Nostro a "La ruota della Fortuna", 1994- e quindi non riesce ad espungere il berlusconismo - o l'anti-berlusconismo, dalle categorie ordinanti del pensiero politico; altri ancora hanno prospettato ficcanti paralleli fra le rivendicazioni di Renzi e l'avvento di Craxi alla guida del PSI nel '76.
Si tratta di valutazioni in cui non intendo entrare, lasciandole al libero apprezzamento dei lettori. Credo, tuttavia, che esse non colgano l'insieme del fenomeno, riflettendo una forma di misoneismo tipica di una certa sinistra, e, più in generale, della cultura italiana più tipica, disincantata, quando non cinica.
I profili oggettivi della vicenda-Renzi, gli unici su cui fondare un giudizio razionale, riguardano la sua capacità di mettersi in gioco, il coraggio e la franchezza con cui, trentacinquenne, ha saputo criticare una leadership ormai ventennale, incapace di porsi come credibile forza di governo per eccessi di divisioni e mancanza di una visione comune, presente invece nello schieramento opposto, per quanto criticabile; la scommessa, quasi pascaliana o la-piriana, sul futuro del Paese e sulla capacità di una palingenesi dove anche le generazioni più giovani sappiano assumersi delle responsabilità; la cognizione, figlia della miglior tradizione democristiana, per cui l'unico modo di fare una politica riformista, in Italia, sia quello di convergere verso un centro-moderato che faccia da baricentro fra le pulsioni liberistiche della destra e l'aspirazione dei ceti popolari ad ottenere delle rendite di posizione mascherate da Welfare-State.
Si tratta, come li si voglia giudicare, di profili chiari e specifici.
Fra i pregi di Renzi vi è sicuramente quello di non nascondersi, e di enunciare chiaramente i propri scopi, forse di lasciar indovinare la propria traiettoria politica di qui a pochi anni; una traiettoria che certamente intercetterà la rotta dell'elettorato moderato, provenga esso da esperienze di sinistra o da esperienze di centro-destra, giungendo alla sintesi degli opposti, ossia realizzando gli obiettivi del miglior berlusconismo attraverso i valori del centro-sinistra e le tecniche di comunicazione del nuovo secolo.
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