Ascoltarli per la prima volta potrebbe spiazzare, ascoltarli per la seconda li farebbe diventare particolarmente piacevoli, dalla terza volta in poi te ne innamori e non puoi farci proprio niente, perché si sa, al cuore non si comanda, ed è forse proprio il cuore il fulcro di un album come “Leaving Your Body Map” dei Maudlin Of The Well, band avant-garde di Boston, USA.

Descrivere le sensazioni che si possono provare davanti ad un lavoro del genere risulta particolarmente difficile, forse a causa del suo essere variopinto, ma anche grazie alla sua capacità di toccarti l’anima fin nel più profondo, vuoi perché il disco sa essere dolce ed atmosferico ma allo stesso tempo triste e violento, quasi ossessivo, ma anche perché in uno stesso brano questi fantastici musicisti sono capaci di passare da atmosfere jazz/progressive a delle vere e proprie sfuriate death metal che tolgono il respiro (quasi come quando in macchina si preme l’acceleratore fino in fondo e si viene catapultati contro lo schienale del sedile).

Il lavoro certosino della band nel creare atmosfere rarefatte e raffinate capace, come detto, di spaziare tra generi diversi tra loro, si esplicita da subito nella track di apertura "Stones Of October’s Sobbing", che dopo una partenza lenta (che mi ha riportato alla mente i nostrani Perigeo) si tramuta poi in una canzone death metal violentissima, con un growl profondissimo, che pur risultando quasi in totale contrasto con alcune soluzioni melodiche (melodia che resta sempre in primo piano) riesce a suo modo ad allietare l’ ascoltatore.

Da citare poi la splendida "Bizarre Flowers – A Violent Mist", una traccia camaleontica, capace di passare da momenti estremamente atmosferici ad altri piu’ oscuri, rimanendo pur sempre estremamente di gran gusto. L’eleganza della prima parte della song viene fuori grazie ad un sapiente mix di elementi classici nella musica rock, quali chitarre basso e batteria, ma anche perchè si fa ricorso spesso a vari elementi atmosferici quali l’eco del suono di campane. Le altre tracce sono un continuo altalenare tra pezzi violenti come la coppia "Riseth He, The Numberless parte I e II" e invece momenti più delicati che culminano nei cinque minuti e trentasette secondi di "Sleep Is A Curse", davvero emozionante nel suo incedere lento e sognante. Inutile dire che la prova strumentale di ogni singolo musicista risulta essere davvero di prim’ordine, spaziando da momenti quasi pinkfloydiani e progressivi ad altri più prettamente metal.

Un capolavoro dunque, degno di essere annoverato tra i migliori dischi sperimentali in ambito metallico dal 2001 ad oggi.

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