“Le cose sul punto di cadere hanno un fascino assai sottile, eppure, ahimè, cadranno. Solo l'arte è in grado di tenerle li, eternamente sospese. L'arte, oppure una sorta di divina noncuranza”
Teofilo Sbolenfi
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Allora, in una giornata uguale a mille altre giornate, una ragazza torna a casa dal lavoro. E' in macchina e a un certo punto la radio manda gli Stones.
Sbam, ma sbam davvero.
Che la sorpresa è tale che quasi va fuori strada, Del resto, da che mondo è mondo, le cose migliori ti si parano davanti senza chiedere permesso.
La ragazza ci mette un po' a riprendersi, oppure, boh, forse non si riprende affatto.
E, ancora in preda all'eccitazione, non può fare a meno di passare dalla sua migliore amica per comunicarle l'accaduto.
Così le due signorine si recano al più vicino store per acquistare/acquisire l'oggetto portatore di tanta meraviglia.
Segue l'ascolto, ovviamente.
Ma, di li a poco, il suo entusiasmo la porta a considerare il mero ascolto non più sufficiente. Allora cerca il modo di partecipare in prima persona a quel festino dello spirito e dei sensi.
La soluzione che trova è piuttosto bizzarra: compra un rullante, un tamburo, oppure un altro aggeggio percussivo, non ricordo bene.
E, di li in avanti, passa la maggior parte del tempo, a volte anche otto ore al giorno, a picchiare su quell'aggeggio mentre ascolta i suoi dischi preferiti (Stones ovviamente + altra roba british invasion + Bo Diddley).
Ecco, quella ragazza si chiama Maureen Tucker ed è forse la più felice incongruenza della storia del rock.
Piccola, minuta, con l'aria da sgorbietto, la vedi e pensi, ma davvero questa era la batterista dei Velvet Underground?
Dai, su, non è possibile...
Con quell'aria da sorellina che se ne sta in un angolo mentre i fratelli maggiori giocano tra loro.
O quello sguardo attonito che. in mezzo alle ghirbe da paura degli altri Velvet, evoca un mix di folle innocenza e di irreale candore.
Qualcosa di talmente stridente da farla sembrare non un componente del gruppo ma una che si è imbucata nella foto.
Eppure quell'essere minimo e minuto è stato capace di divenire il cuore pulsante di una delle esperienze musicali più importanti del secolo scorso. Un tam tam ossessivo e stridente, maniacale e selvaggio, istintivo e implacabile.
E mi vengono in mente quei bidoni della spazzatura che si procurò in fretta e furia dopo aver subito il furto della batteria durante un tour coi Velvet.
Lei e Sterling Morrison, l'altro “buono” del gruppo, dopo una lunga ricerca, scelsero quelli meno sporchi e maleodoranti, ci piazzarono sotto dei microfoni e via andare.
E, signori miei, la Maurina, alta un soldo di cacio, che si arrampica in cielo per arrivare all'altezza di quei bidoni è davvero l'immagine più perfetta per restituire il caos del suo tambureggiare oltre che la felice incongruenza tra quello stesso caos e il suo aspetto da sgorbietto/sorellina.
E comunque, sappiatelo, parliamo della più grande batterista di tutti i tempi. E fa niente se i paladini della tecnica ad ogni costo stan storcendo il naso, la tecnica è un falso problema.
Pistols e Ramones, tanto per fare due nomi, non avevano alcun limite tecnico e sapete perché? Perché avevano la tecnica che gli serviva, niente di più, niente di meno. Esattamente coma a un gatto non serve che essere un gatto per essere un gatto. Chiaro?
E quindi si, lo ripeto, la più grande batterista di tutti i tempi.
E anche una che ha prestato la sua vocina da niente a un paio di canzoncine Velvet che in pratica fanno genere a sé.
Quale genere?
Il genere Tucker...
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Finita l'esperienza Velvet, Maureen, che non aveva mai pensato di diventare una musicista professionista, si imbarca in tutta una serie di lavori, il primo alla Factory di Wahrol.
Quel che deve fare è una cosa del tipo tirar giù i dialoghi dai film del genio.
Solo che quei film son pieni di parolacce e ogni volta che ne incontra una anziché trascriverla mette i puntini di sospensione. “Non mi piace quel tipo di linguaggio” dice.
Sempre stara una brava ragazza la Maureen.
Ma brava sul serio.
Ad esempio, quando era in tour coi Velvet, cascasse il mondo, la domenica doveva essere depositata nei pressi di una chiesa e ce la depositavano sempre, ce la depositavano eccome.
“Oh, erano sempre così gentili con me”.
Comunque avrei pagato roba per vederla gironzolare per la Factory, lei sola, senza i Velvet che, loro si, eran tipi da Factory.
Tipo quando chiacchierava con Wahrol e il suo codazzo di gente iper estetica.
“Chi vuoi che te le compri, Andy, le tue palle d'argento”
“Veramente, Maureen, le vendo a tremila dollari l'una”
“Ma dai!!!”
Comunque, finito il lavoro alla Factory, quelli successivi saranno un pochino più di merda
E lei sparisce per una decina d'anni.
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Poi a inizio ottanta qualcuno ha l'idea di farle incidere un disco.
I Velvet all'inizio non se li filava nessuno, ma adesso, considerati quasi una specie di big bang. sono il gruppo par excellence.
Lei però ne è completamente ignara,
Le fanno leggere un po' di riviste musicali e, finalmente, si rende conto: non c'è praticamente nessuno nel mondo wave che non li citi come influenza principale.
“Ma dai!!!”, dice Maurina
Si, si, dice proprio “ma dai”
Come quella volta con le palle d'argento di Wahrol.
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Il disco se lo registra da sola nel salotto di casa suonando tutti (tutti!!!) gli strumenti.
Nove pezzi su dieci sono cover (Velvet, Dylan e classici del primo rock'n'roll)
Però quel che vien fuori è incredibilmente personale, qualcosa tra il genere Tucker e il genere Tucker.
Si parte con un po' di velvettismo naif, che poi è un festino ritmico monoaccordo deliziosamente folle.
Segue una cover di “Heroin”che davvero non riesco a raccontarvi...se non dicendo che sembra presa dal terzo album Velvet e non dal primo ( e qui capite solo se se siete velvettiani )
Poi un paio di numeri tipo Holy Modal Rounders al congresso delle fate, potremmo dire low fi, potremmo dire stracciatissimo folk rock.
Il tutto piuttosto stonato e in preda alla grazia dell'errore, quella che il buon dio (o chi per lui) ha inventato per ribaltare l'ovvio e il consueto.
Poi qualche rock'n'roll in sordina canticchiato preparando il tortino di patate. E persino un paio di minuti di Vivaldi che solo lei poteva metterceli...
Vivaldi!!!
Su tutto una vocetta da streghetta (nel suo caso fatina) quasi wave in bilico tra cantilena e follia ritmica.
Si arriva alla fine con la sensazione di essere stati per mezz'ora in un mondo a parte, più bello e più gentile del nostro, perché tutto quello che non dovrebbe funzionare funziona invece alla grande.
Il segreto mi sa che è la gioia di fare musica, il furore/fervore dilettantistico che imita senza saperlo fare oppure fregandosene di come si fa.
Son praticamente tutte cover, dicevamo...
Ma il risultato (come diceva il buon Andy Patridge) è lo stesso di quel bel giochino, ovvero il telefono senza fili: la frase/canzone alla fine non è mai quella di partenza. E' molto, molto meglio, oppure, semplicemente, è una cosa diversa.
I dilettanti avventurosi arrivano spesso in luoghi inaspettati.
Poi va beh, vi devono piacere le cose un po' smandrappate, quelle che colgono l'attimo andando fuori giri. Pensate che a me (e penso davvero solo a me) auquesto disco ricorda un pochino Barrett,
Però niente storie da genio pazzo o cose del genere...
Che Maurina è una madre timorata con cinque figli, una a cui le parolacce non piacciono, una che, cascasse il mondo, la domenica va a messa.
Insomma, è una brava ragazza.
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