Immaginate una coppia, occhi negli occhi in una danza che è espressione di pura sensualità. Forse si conoscono o forse no, ma entrambi, sia l'uomo che la donna, adesso danzano come se quei movimenti lenti siano prerogativa di quello che inevitabilmente dopo accadrà. Iniziano piano, sfiorandosi, studiandosi, aspettando le mosse dell'altro, poi il ritmo ha il sopravvento e avvinghiati vanno in sincrono fino all'esplosione del parossismo finale.

Il "Bolero" di Maurice Ravel è stato rappresentato tante volte in numerosi modi diversi, ma così è come lo immagino io. Sconvolgente nella sua semplicità, in quelle battute ripetute ossessivamente evocando atmosfere spagnoleggianti aggiungendo una sezione alla volta, finchè l'intera orchestra è coinvolta nell'espressione dell'arte di un genio compositivo moderno con pochi eguali.
Il "Bolero" nasce nel 1929, quando fu commissionato a Ravel da una famosa attrice-ballerina. Il maestro non aveva molto tempo da dedicare a questo impegno, così scelse un tema semplice che evocasse la Spagna (come dettava la moda di allora), affascinato dal seguito che quel genere incontrava. L'autore lo spiega così:
"è una danza di movimento molto moderato e costantemente uniforme, tanto per la melodia e l'armonia che per il ritmo. Il solo elemento di diversificazione è costituito dal crescendo dell'orchestra".

Due frasi di 16 battute in DO maggiore e minore, ripetute 18 volte. Inizia solo il flauto, pianissimo, accompagnato dal tamburo. Pian piano, si innestano tutti gli altri pezzi dell'orchestra a ripetere le stesse frasi, prima da soli (oboe e clarinetti per primi) e poi in intere sezioni. L'incedere è lento e ipnotico, il ritmo calmo ma forse per questo ancora più ossessivo, la "frase" ripetuta quasi viene scomposta per cui sembra di sentire uno ad uno i singoli musicisti che compongono il gruppo armonico. Il finale è appannaggio di grancasse, tamburi e tromboni per un crescendo che toglie il fiato, che erompe in tutta la potenza sinfonica quasi a svegliarci dalla trance in cui tutta la sessione ci porta. Ben quasi 8 minuti di durata, 8 minuti di magia in cui sembra di entrare in un altro mondo e in un altro tempo.

Sicuramente l'opera più famosa del maestro francese, una musica senza tempo che sono in pochi a non aver mai sentito, una specie di "scherzo", forse, come se Ravel avesse voluto prendersi gioco dei "grandi" creando una grande opera da un motivo semplice.
Numerose sono state le interpretazioni sia sul palco (grandi etoiles si sono avvicendate sulle note andaluse) sia alla direzione (resta celebre una querelle tra lo stesso Ravel e Toscanini sull'esecuzione), ma l'immagine che ogni volta si crea nella mia mente è sempre la stessa.... semplice, conturbante e bellissima. Se non ci fosse stato chissà se qualcun'altro lo avrebbe inventato.

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