E' ancora possibile al giorno d'oggi per un cantautore proporre qualcosa di nuovo? 

Maurizio Ferrandini artista sanremese d'adozione maremmana, con il suo ultimo lavoro, "Pop Kong", ci ha regalato qualcosa di diverso e innovativo, un lavoro assolutamente inedito nel panorama musicale italiano.

"Pop Kong" è qualcosa di più di una mera sequenza di canzoni. Si tratta di una sorta di concept album che ci conduce in un lungo viaggio nell'estremo oriente, sulle orme di Marco Polo attraverso un mitico, affascinante e misterioso Catai. La variegata atmosfera del disco ci porta echi di Cina e afrori di oriente, fra dragoni, tigri bianche, pagode, vicoli e mille altri elementi caratterizzanti di una cultura ancora troppo lontana dalla nostra.
La parola "pop" del titolo potrebbe indurre per associazione alla musica leggera, facile e commerciale, ma chi come noi conosce l'opera di Maurizio sa che niente può essere definito "leggero" nella sua produzione, e questo lavoro non fa eccezione.
Anche questa volta, come per i dischi precedenti, Ferrandini fa tutto da solo: testi, musica, arrangiamenti, esecuzione strumentale. E ancora ci sorprendono le sue straordinarie capacità di one man band.
All'interno del disco possiamo cogliere i frutti di un'inedita opera di ricerca musicale, che ha portato il cantautore a generare nuove sonorità orientaleggianti, realmente innovative nel panorama canoro italiano, includendo persino un canto tradizionale filippino in lingua madre.

Con l'immenso eclettismo a cui Ferrandini ci ha abituato, si passa dai ritmi lenti al rock, dalla discomusic al pop, dalla melodia puramente italiana a quella di sapore asiatico. Il tutto in un perfetto cocktail di testi forti e profondi e di musicalità che il cantautore riesce a amalgamare con maestria, dimostrando medesima padronanza dei vari generi visitati e soprattutto, come scrive nelle note di copertina l'amico e collega Enrico Nascimbeni, che cantò gli assolati tropici di Maracaibo, in modo mai banale, sempre con estrema originalità e grande coraggio. E di coraggio ne serve molto per scrivere un pezzo come "Discostante", in cui Maurizio denuncia apertamente il potere della politica e la sua ingerenza nel mondo dell'occupazione ("non ho più un lavoro......sono discostante perché non voto a sinistra..... perché non sono di destra"). Sono versi che nessuno ha mai osato scrivere prima d'ora, perché frenato dal giustificato timore di essere emarginato dalla società dei potenti. Chi, come Ferrandini, non se la sente di vendersi alla politica calpestando le proprie idee e la propria dignità, è destinato a non veder riconosciuti i suoi diritti e vedere sviliti i propri meriti professionali. Un altro pezzo estremamente coraggioso è "Il discografico", una veemente denuncia, questa volta contro le case discografiche che impongono ai cantanti soluzioni commerciali ed orecchiabili al solo fine di vendere e incassare di più, ignorando del tutto l'ispirazione dell'artista e pilotandone le scelte musicali. Un brano che a Sanremo nessuno potrà mai cantare.
Ma non mancano momenti più soft e delicati: i brani più elegiaci del disco sono "Non vivo più", finemente intimistica, e la sublime "Quante volte", che regala momenti di delicata poesia ("e il cielo si può toccare non solo con l'anima / e il mare lo può specchiare se lo vogliamo noi") sfiorando tematiche già trattate nel precedente album, "Senso unico".
L'amore per la Cina trova la sua massima espressione in "Sorrisi da Pechino", senza dubbio uno dei pezzi più riusciti dell'intero lavoro, in cui Maurizio esprime il contrasto fra la frenesia della decadente e corrotta civiltà occidentale e le magiche e affascinanti atmosfere dell'estremo oriente, quel mondo così distante dal nostro sotto tutti gli aspetti.
"Wo ai ni" (che in mandarino significa "ti amo") affronta il tema scottante delle catastrofi ambientali che stanno sconvolgendo il nostro pianeta, purtroppo senza discriminazioni fra ovest e est.
Uno dei pezzi più rock è "Sangue ipnotico", in cui si biasima il comportamento di chi cerca nelle droghe lo strumento per liberarsi dalla vita stressante in una società a cui non sa adeguarsi, imboccando la strada sbagliata per riuscire a "stare ben dentro a questo zoo".
E non possiamo non citare "Il canto di Hong Kong", un invito a scoprire le millenarie tradizioni dei popoli asiatici, e a rispettarle senza imporre la globalizzazione.
Chiude l'album la splendida "China Cola Hotel", ultimo omaggio al magico oriente cantato in modo così mirabile.

Diceva Artur Schopenhauer: "La gloria la si deve acquistare, l'onore invece basta non perderlo".
Ferrandini con questo disco è riuscito a conseguire entrambi gli obiettivi.

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