La realtà esiste, e la sua esistenza è inemendabile poiché era emendabile fino a qualche anno fa, quando cioè l'identità gnoseologica tra ontologia e gnoseologia è divenuta differenza ontologica tra ontologia e gnoseologia.

Questo perché «ciò che hanno sognato i postmoderni l'hanno realizzato i populisti», dunque una presa coscienza dell'inemendabilità della realtà costituirebbe, secondo il Manifesto del nuovo realismo, un'abolizione della koinè postmoderna (ironizzazione, desublimazione, deoggettivazione), abolizione che si rende necessaria nel momento in cui la sua conseguenza più prossima è la delegittimazione e che trova proprio in questo determinismo la sua intrinseca contingenza, perché, sebbene il nuovo realismo possa svolgere una funzione propedeutica (e pare stia proprio qui la sua raison d'être), esso nasce da un fraintendimento più o meno legittimo radicato nella scelta più o meno legittima di aver storicizzato e teleologicizzato il postmodernismo di modo che «la deoggettivazione, formulata con intenti emancipativi, si trasforma in una delegittimazione del sapere umano e nel rinvio a un fondamento trascendente» il quale, seppur possibile, non è mai stato realizzato dalla generazione postmoderna: il realytismo, che vede nella giustapposizione, nella drammatizzazione e nell'onirizzazione i propri capisaldi e che dunque è classificabile come variante del solipsismo, non è, proprio in quanto variante del solipsismo, figlio legittimo del postmodernismo (del resto, è intellettualmente disonesto incolpare una generazione di pensatori che va da Nietzsche a Deleuze per l'esistenza catodica di Barbara d'Urso), essendo - in termini postmoderni e prim'ancora empiristici - il sapere legato innanzitutto al mio vedere il mondo, cioè alla conoscenza che ho di me stesso e di esso (io sono quello per cui il mondo è l'immagine che di esso ho) nel momento in cui vedo ed essendo proprio questo realismo gnoseologico, seppur "relativista", a fare in modo che l'empirismo (da Hume in avanti) non degradi nel solipsismo e che il postmodernismo non sia nella propria essenza un "antirealismo magico", il quale va così a configurarsi come perversione del postmodernismo, perversione che non legittima comunque il nuovo realismo in quanto, appunto, perversione.

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