Il tormento è un preambolo che va preso sul serio.

E’ al tempo stesso un inizio e un indizio. Un inizio perché da lì in poi sono cazzi; un indizio perché se sei fortunato con un minimo di introspezione torni in te, diversamente presenze non richieste quali panico, ansia, depressione e infine dolore si fanno spazio.

Mauro Repetto ha colto l’avvisaglia del tormento in contromano a tutta velocità perdendo i punti della patente in un amen.

Preambolo che il mondo conosce o perlomeno crede di conoscere: Pavia, metà anni ’80. Mauro Repetto conosce il ripetente Max Pezzali. I due si piacciono. Il primo è una bomba: vuole formare un gruppo, vuole cantare, rappare, farsi conoscere, dignità zero. Il secondo, più introverso e restio all’avventura, viene convinto a suon di insistenza.

Repetto inizia a frangere i marroni a Cecchetto, a Jovanotti, alla Warner. Telefona, ogni giorno, imperterrito. Invia demo, crea appostamenti, percorre infinità di Km. Pezzali è passeggero distratto: è ‘in’, ma senza dissanguare l’anima e morigerando i sogni.

Dopo una falsa partenza datata settembre 1988, laddove Jovanotti li ospita a “1,2,3 Jovanotti” e li presenta come “Pop” e nella quale propinano ad un partere di teen agers urlanti un brano improvvisato denominato “Live In The Music”, nel 1991 un Repetto non ancora domo si presenta alla portineria di Radio DeeJay con una musicassetta con la demo di “Non me la menare” pregando di sottoporla e Cecchetto. Il quale ne resta folgorato e incarica il fido Pieroni di chiamare i ragazzi: “Venite, dai. Veloci. Si fa l’album. E perché no, anche un secondo”.

Da lì sapete: 883, Castrocaro, poi l’Uomo Ragno, poi Sei un Mito, Nord Sud e quel che è.

Il progetto funziona: gli stadi si riempiono, i dischi vendono in termini di milioni. Nasce però fin da subito un equivoco, o forse è il fato a presentare un inconveniente, il primo. Pezzali, fino a quel momento spalla e comprimario, canta meglio. Oppure, se preferite: Repetto non sa cantare. Va da sé: Max abbranca il microfono e prende suo malgrado la scena, diventa frontman: lo prevedono usi e consuetudini, è il cantante, pace.

E io che faccio ? Sulle prime, Repetto la butta facile, come suo solito: mi studio le movenze di Janet Jackson e ballo. Lui canta, io ballo. Non so suonare, non so cantare, e che fo ? Ballo.

Già. Il tormento, arriva quasi subito. Che succede ? Il nostro dimagrisce, piange senza motivo, diventa automa. Balla, compone, perché deve, perché è giusto. Ma il sogno è finito. Non sta bene, crolla senza rendersene conto.

Finché, a ridosso della Pasqua, anno 1994, dice all’amico – collega: vado a Miami, non so se torno.

In America inanella una serie di cagate, crea un prontuario autodistruttivo, improvvisa oltre ogni umana decenza. In soldoni, parte per produrre un film con una modella di cui s'è invaghito ad una sfilata, torna squattrinato e con un album che Dio, perdonalo perché non sa quello che fa.

Il mito prende forma da lì. Dove va ? Cosa fa ? E poi ? Eurodisney ? Maschera ? Francia ?

Non parlo di ‘mito’ tanto per. Ne parlo a ragion veduta. E’ diventato un mito solo per chi non ha voluto indagare, sapere, cercare. Si è semplicemente lasciato morire. Morire, per rinascere, si spera.

Lo ritroviamo oggi, cinquantacinquenne di bell’aspetto, rotondetto ma felice. Spiega, risponde, imbraccia la chitarra e canta. Oddio, se alza di un tono stecca, ma lo sa lui e lo sappiamo noi.

Ma è felice. Se lo senti parlare, te ne accorgi: c’è ancora qualcosa, qualcosa che lo tormenta, qualcosa che gli dice: vai, esplora, datti da fare. Ma ne è cosciente e forse, con questi presupposti, il dolore diventa più sopportabile.

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