Quando si parla di pop italiano tra "letterati" della musica, è abbastanza frequente osservare esibizioni di raccapriccio, imbarazzo o semplicemente spocchiosa indifferenza.

Ho sempre pensato che questo atteggiamento, ostentato spesso sino alla noia, sia indice di provincialismo acuto che collima perfettamente con l'altro opposto, ovvero l'ascolto forsennato ed univoco del pop nostrano. Entrambe le abitudini di ascolto rivelano scarsa possibilità di avere un dialogo sereno su un genere che, volenti o nolenti, ci accompagna da quando siamo nati.

Se poi si prende la figura del cantautore poco cantautoriale Max Pezzali, l'atmosfera si fa ancora più pesante nel dottissimo salotto dei grandi "cultori della musica colta" (ad eccezione di Edmondo Berselli dell'Espresso e di Zanetti di Rockol). E invece, con l'intento di rasentare il più possibile una lettura obiettiva, prendo l'ultimo album del genuino poppettaro pavese cercando di dissertare placidamente sul suo ultimo lavoro.

Come spesso accade, il singolo di lancio "Torno Subito" è quasi la peggiore traccia dell'album. Melodia già sentita (che riecheggia senza pudore il mood de “Lo Strano Percorso”), arrangiamento acustico senza anima, denso di chitarre tra cui una slide simil-country che fa un po’ il verso al rock da FM americana, e testo assolutamente sciatto e banale.

La seconda traccia, “Time Out”, invece sorprende. Il pezzo è rutilante ed il ritmo del cantato così sincopato si aggrappa con coerenza alle ghost notes della batteria e ad un basso piuttosto in rilievo. Inoltre appare evidente che il registro baritonale di Pezzali, che in tutto l’album dà sfoggio di una voce calda e corposa, viaggia ottimamente sulle tonalità basse.

Si va avanti con “Profumo” che spicca per il testo piuttosto minimal ed un arrangiamento furbetto che si fa benvolere con il tempo. Il pezzo successivo, “Il Presente”, è un gradevolissimo lento intimista che forse zoppica un po’ sul ritornello. Questo è uno dei punti dolenti di tutto l’album. Spesso ci si ritrova di fronte brani con strofe ben congeniate che però poi sfociano in un refrain poco convincente.

Le due tracce successive, “Esserci” e “Il Meglio”, conservano un retaggio lampante della vecchia produzione degli 883 senza però la freschezza e l’originalità di quegli anni. Il pezzo successivo, “I Filosofi”, continua a confermare una ottima capacità compositiva che incomprensibilmente si perde però in agghiaccianti scelte melodiche, specialmente, come detto, sul ritornello.

Meglio sorvolare su “Sei Fantastica”; canzone sdolcinata al limite del patetico che si “fregia” di un accompagnamento da Canzone Italiana inizio anni 90. Uno spiacevole episodio. Si arriva quasi alla fine con “Sottosopra”, interessantissimo pezzo che ci racconta la “vita da terminal” con precise istantanee del mondo aeroportuale. Gli ultimi due pezzi, “La Strada” e “Chiuso In Una Scatola”, continuano un po’ il discorso iniziato con la prima traccia (Torno Subito) ma con esiti più confortanti; gli arrangiamenti acustici, addirittura troviamo il vecchio banjo, sono un po’ diretta espressione di un evidente innamoramento musicale “country” di Max Pezzali (insospettabile fan peraltro di Johnny Cash).

Vedendolo “dall’alto”, cercando di estraniarci da luoghi comuni e stereotipi innervosenti, il prodotto è più che soddisfacente. Non ci sono i picchi del genio. Quello no. Ci sono buoni pezzi, scritti con sincerità da un cantante che da tempo si definisce “artigiano della canzone” (non Artista). Eppure questo ragazzone ormai 40enne, riesce a produrre da 15 anni ciò che di meglio in Italia si può trovare di “easy listening” (opinone personalissima che non ha inficiato il giudizio sull'album). Guardarsi e sentirsi (serenamente) intorno per credere.

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