Possiamo dire senza ombra di dubbio che l'arte al giorno d'oggi stia perdendo sempre più quel carattere di tangibilità che in passato permetteva di recintarla, rinchiuderla in un confine estetico preciso che permettesse di definire in maniera inequivocabile l'opera creata, oltre a dirigerne la creazione. Ed oggi questa intangibilità si riflette anche nella possibilità di scomporre, frammentare e ricostruire un capolavoro del passato, filtrandolo sotto le "lenti" compositive del Novecento, e crearne un qualcosa che, lungi dall'essere un capostipite della classica del nuovo millennio, risulta comunque piacevole ed artisticamente valido. Arvo Pärt e Philip Glass: sono questi i due nomi tutelari che riecheggiano per gran parte dell'ascolto del disco e ai quali il signor Richter deve non poco in questo esperimento musicale della Deutsche Grammophon. I richiami del primo sono piuttosto evidenti nei movimenti dalla ritmica meno concitata, dove le pennellate degli archi vengono rallentate e scheletrizzate, riuscendo ad imitare in maniera piuttosto efficace lo stile sinfonico del noto compositore estone. Il vocabolario musicale di Glass è invece onnipresente nella costruzione delle impalcature armoniche e dei contrappunti circolari: questi, forse, a volte troppo abusati. Bisogna dire comunque come anche Richter ci metta del suo, lavorando per rimozione e sintesi sulle melodie, e le semplificazioni armoniche costruite risultino essere spesso convincenti, connubio perfetto di tradizione ed avanguardia: un minimalismo barocco di ottima fattura. Purtroppo non è tutto oro quel che luccica e così l'"Autunno", incentrato sulla volontà di esauterare dal già sentito, sembra quasi un bozzetto tirato giù al momento e su quale tornare successivamente, ricomposizione bipolare colpevole di essere nè carne e nè pesce. Ci pensa l'"Inverno" a risollevare il tenore generale, con un primo movimento che riesce a creare qualcosa di originale imperniandosi su una melodia sincopata, seguito da un secondo movimento molto più soffuso e trampolino di lancio per quello finale: un climax di archi in continua ascesa, da palpitazioni. L'opera nel complesso risulta piacevole all'ascolto e un gradito déjà-vu per chi mastica qualcosa di musica colta novecentesca, oltre a poter fungere da punto di partenza per i meno esperti in materia, volenterosi, magari, di allargare i propri orizzonti musicali.

Carico i commenti...  con calma