Io non sono un de-recensore ed è stato francamente difficile, per me, scrivere anche queste poche righe. Ho voluto farlo perché qui ho trovato ottimi dischi e musica di cui non sospettavo l'esistenza. Mi pare doveroso ricambiare, spero di leggere a breve un'altra recensione, scritta meglio da chi voglia rendere a questo disco la visibilità che credo meriti.

Il mazapegolo, mazapègul, è un folletto che infesta le montagne romagnole. Esce la notte, si infila nelle case e cammina furtivo radente ai mobili. La creatura si innamora delle ragazze piu belle, e alle giovani non rimane altro da fare se non sopportare le sue attenzioni, o aspettarsi i dispetti dello scellerato.

I Mazapègul sono anche loro romagnoli, ma non lo diresti se non per qualche parola sparsa qua e la, qualche riferimento che può risultare discriminante a chi è nato nella stessa terra.

Altrimenti puoi ben dire che la loro musica è bastarda, senza cognome, con troppi padri e nessuno certo. In "Piccolo Canto Nomade", suonano un viaggio fisico, su strada, il ritorno di chi si siederà questa sera e per tutta notte ne avrà da raccontare: di quello che ha visto, fatto e sentito.  

Ritmi presi a prestito, gonfiati, smussati, storpiati come ogni storia raccontata da un buon narratore. Gli scatti balcanici di "Maramures Polka", il country che fugge nella "Sacca del Diavolo", o nei "Ventidue Colori", che quasi ci s'aspetta di veder passare la palla di rovi spinta dal vento polveroso. Ritorni al paese, malinconici come quello di Monty Banks, vitali come in Cacaija.

Ci sono altre parti di mondo che io non conosco, in questo disco, ugualmente belle e da farsi raccontare. Il mio consiglio è di ascoltare la storia, chissà che poi non vi alziate dalla sedia, come il protagonista di Gola Profonda, la traccia ubriaca (Ivano Marescotti), soddisfatti e con il lieve sentore che ne siano state sparate anche di grosse, ma raccontate ad arte.

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