In ossequio alla voglia di sperimentare cose nuove, che non può mancare anche su DeBaser e contrapposta all’inaugurazione della recensione “stereo” che prevede due pagine per uno stesso disco, inauguriamo ora la recensione “differenziale-biunivoca”, che prevede cioè due dischi di uno stesso artista su di una sola pagina!!!
Parliamo comunque di un periodo ben definito della vita artistica di Mc Coy Tyner, cioè dei primi sessanta, in cui egli costituiva di fatto una delle colonne strutturali del quartetto di John Coltrane e ne era forse l’elemento più caratterizzante col suo stile assolutamente personale: afro-percussivo, modal-logorroico-coerente ma… dirompente!
Elvin Jones in quel gruppo dettava legge e moda sui tamburi e sulla gestione dei tempi, rivelandosi, per gran parte dei colleghi batteristi, una pietra miliare nuova ed essenziale del ‘modern drumming’; Jimmy Garrison si sobbarcava il peso di mantenere tutta la baracca coesa sulle sue solide ed incrollabili spalle. Di Coltrane non parliamo neppure, altrimenti non finiamo più.
Naturalmente per un artista intelligente, estroso, pieno di idee, note e ritmo da elargire al mondo era necessaria una valvola di sfogo personale, parallela ed alternativa al Coltrane quartet (o quintet, se passava da quelle parti l’amico Dolphy etc.). Mc Coy Tyner ha inciso una notevole quantità di dischi, sperimentando con varie formazioni ed offrendo mostra della padronanza di vari linguaggi. Che sempre includono espliciti riferimenti all'africanità. Nel disco in trio “Inception” (1962) troviamo Elvin Jones ed Art Davis a supporto del piano; evidentemente acqua copiosa passò da ‘Nights of ballads and blues’ o ‘Today and tomorrow’ e lo stile, da entertainer perfetto con brio, vira ora spesso, nei pezzi più vicini alla ‘new thing’ offrendo pericolosi strali di note a seguire od anticipare i cambi di tempo, ad inanellare frasi su frasi gettate su uno stesso bordone mono-tono, magari su un temino preso solo a pretesto per suonare che però invece di rivelarsi noioso (il rischio c’è, evidentemente) ti trapana il cervello e ti fa ballare le gambe. Unico ed irripetibile, Mc Coy Tyner.
I sei pezzi:
1) ‘Inception’ è il pezzo che da il titolo all’album ed è un bel blues decostruito che inizia subito un viaggio pieno di swing; si dipana tramite frasi che iniziano decisamente a staccarsi dai clichè correnti.
2) ‘There’s no greater love’ è reso in maniera melodica ed appoggiata; contrappunti e dialoghi quasi cameristici tra piano e contrabbasso su ritmo marcato di tamburi, per un sollievo delle orecchie dopo la prima ferita inferta in apertura.
3) ‘Blues for Gwen’ ed è ancora rincorsa tra piano e contrabbasso per l’ esposizione del tema; un blues abbastanza tradizionale che serve da canovaccio per scale a velocità incredibile.
4) ‘Sunset’ costituisce un momento strano del disco: si apre con archetto e tempo ‘rubato’ per esporre il tema; subito dopo si entra nel ritmo medio tempo per una ballad in cui sembra di sentire Horace Silver e le sue invenzioni caratteristiche alla tastiera. Atipico ma intelligente.
5) ‘Effendi’ è una esilissima composizione che si snoda su pochi accordi, mantenuti a lungo come tavola per la notevole esibizione modale del pianista. Sembra tratto di peso da uno dei dischi di Trane, per impostazione e sviluppo. Bel solo di contrabbasso e ‘quattro e quattro’ con la batteria.
6) ‘Speak low’ è reso a velocità impossibile da eseguire per comuni mortali. Da mozzare il fiato. Disco bellissimo ed assolutamente rappresentativo dello stile del Mc Coy Tyner di mezzo.
Nel secondo disco in quartetto “The real Mc Coy” (1967), al basso c’è ora Ron Carter ed al sax, per un confronto di stile tra titani, c’è Joe Henderson. I cinque pezzi:
1) ‘Passion dance’ qui si vede che cinque anni son passati rispetto ad Inception e le esigenze ‘ritmico-melodiche-sociali’ esigono un approccio più radicale e nuovo rispetto alla tradizione. Henderson compare all’inizio, nell’esposizione di un tema africaneggiante e poi per il solo. Permanenza comunque per gran parte su di un solo accordo che risulta essere ossessivo ed inquietante ma imprescindibile. L’unica maniera di capire dove inizi il giro è quando la mano sinistra od il batterista marca “l’uno”. Danza ipnotica e stupenda. Mc Coy Tyner style al 100%, ora.
2) ‘Contemplation’ un brano più lento, per un mood alla Naima, dove Henderson imbastisce discorsi che, seppur influenzati dal tranismo imperante, lo qualificano come un originale gigante del sassofono di tutti i tempi. Mc Coy Tyner estremizza e sta ora fuori ora dentro la melodia. Il tempo è comunque incrollabile.
3) ‘Four by five’ è uno scherzetto ritmico a marcetta iniziale che prelude ad una esibizione ad alta velocità che va solo gustata ben legati alla sedia, per non saltare e sbattere ‘a capa al soffitto! Da non ascoltare alla guida di un veicolo.
4) ‘Search for peace’ deliziosa dimensione intimista e lenta, soffusa di note sparse dove il tema è l’elemento dominante.
5) ‘Blues on the corner’ jam finale tirata e sanguigna nella migliore tradizione. Ci svela le vere origini del jazz ed il punto esatto di connubio tra blues e jazz, tutto condito da accordi e frecciate di note a cascata che si sovrappongono e rincorrono il tempo o lo precedono. Per stare dietro ad uno così ci vuole solo una band di elementi solidi fisicamente e stabili mentalmente. Per godere appieno di questa musica c’è bisogno che ti si siano schiuse le porte del dipartimento jazzistico vicino all’amigdala.
In sostanza, nella vasta discografia che costituisce il ‘body of work’ di Mc Coy Tyner, come titolare o comprimario, questi due dischi sono tra i più rappresentativi dello stile del nostro, nonché forse i più vicini allo spirito dirompente parkeriano, poi coltraniano, che impregnava comunque un po’ tutti gli hard boppers dei ’60.
Consigliatissimi entrambi!!!
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