Chicago, 1971. Una oscura band di giovani musicisti registra un piccolo gioiello di rock progressivo. Un'opera in bilico tra jazz rock, sperimentazione, avanguardia e psichedelia stile Canterbury.
Poco più di 30 minuti e le basi di un suono perfettamente bilanciato, originale, ispirato, mai banale e pieno di personalità appaiono incredibilmente ben definite. Solo quattro pezzi, ma estremamente efficaci, solidi, maturi, costruiti con una sapienza ed un senso del ritmo invidiabili.
L'avvio con “The Monster Bride” è imperioso, una breve suite di appena 10 minuti che mette in mostra tutto quello che questi ragazzi sono capaci di produrre, alternando momenti di grande lirismo, cambi di tempo mozzafiato e bordate di jazz rock orchestrale che riecheggiano il “Grand Wazoo”.
La successiva “Spiders (In Neal's Basement)” è un vero miracolo di equilibrio, freschezza e personalità. Il leggero cambio di tono che sembra preannunciare all'avvio, con un suono più leggero ed agile, prepara magistralmente il campo verso nuove spettacolari variazioni, improvvisazioni ed avvincenti momenti dominati da fiati e voce. Il tutto in un pezzo di appena 6 minuti. Davvero non male come biglietto da visita per un manipolo di illustri sconosciuti.
Il pezzo successivo “Witches Theme and Dance” non fa che aumentare la sorpresa riguardo la capacità dei nostri di variare toni e timbri, stavolta più orientati verso il rock, sebbene mantenendo intatta una vena camaleontica di fondo. King Crimson, Yes, Genesis, Pink Floyd, Jethro Tull e Gentle Giant riecheggiano a più riprese, in un equilibrio perfettamente lineare e logico. I McLuhan riescono a districarsi in questa impresa senza mai limitarsi a sconnessi o fin troppo avventurosi voli pindarici in nome di una sperimentazione ad oltranza, riuscendo invece a mostrare uno spiccato senso della misura, davvero difficile da trovare in una band all'esordio.
Il disco si chiude con “A Brief Message From Your Local Media”, altro pezzo magistralmente strutturato e suonato con grande sicurezza. Una partenza delicata, in sordina, dai toni quasi dimessi, che dominano per circa metà brano dimostrando ancora, qualora ce ne fosse stato bisogno, che i nostri sono in grado di padroneggiare un'ampia varietà di registri. Il tempo di un breve intervallo recitato lievemente surreale, e il pezzo si trasforma completamente, deflagrando in un incendiario momento di jazz orchestrale con batteria, fiati, xilofono e voci in grande evidenza, in uno spettacolare crescendo che chiude l'album nella maniera più grandiosa, elegante e logica possibile.
Perchè quest'opera non abbia avuto un seguito e perchè questo gruppo sia rimasto pressochè sconosciuto perfino presso i più accaniti adoratori del rock progressivo degli anni '70, rimarranno enigmi tra i più inspiegabili per il sottoscritto.
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