Una cosa è certa: gli MDC sono uno dei gruppi più incazzati che il punk hardcore abbia mai partorito.
Nel 1980 il cantante Dave Dictor (uno squatter newyorchese anarchico e vegetariano convinto, nonché dichiaratamente omosessuale) formò il gruppo ad Austin, in Texas. Inizialmente si chiamavano Stain, ma presto cambiarono nome optando per l’acronimo di un ben più diretto “Millions Of Dead Cops” (in futuro si divertiranno ad assumere nomi diversi praticamente per ogni nuovo album: More Dead Cops, Millions of Damn Christians, Missile Destroyed Civilization, Millions of Dead Congressmen ecc.). Nel giro di un anno avevano già fondato la loro etichetta, la gloriosa R Radical, e si erano autoprodotti un 45 giri. Quando si trasferirono a San Francisco nell’82, dopo aver finito di registrare questo loro primo LP, suonavano un thrash velocissimo ed essenziale, caratterizzato da un suono grezzo e distorto che privilegia l’aggressività rispetto alla perizia tecnica. Avevano molto in comune con i Dead Kennedys, il suono e l’aspra critica sociale innanzitutto. Ma la musica degli MDC era più violenta, più veloce e la critica ancor più diretta e radicale. Mentre i testi di Jello Biafra erano impregnati di sarcasmo e black humour, quelli di Dictor erano delle pure dichiarazioni d’odio. Niente ironia o doppi sensi, solo una grande rabbia.
Le 14 micidiali schegge hardcore che compongono il disco (che complessivamente dura poco più di 20 minuti), dettero uno scossone (anzi, diciamo pure un bel calcio nelle palle) all’anima reazionaria dell’america reganiana. Niente viene perdonato alla spietata società odierna: il marcio capitalismo delle corporation (“Business On Parade”, “Corporate Deathburger”, “Greedy & Pathetic” ), l’odio verso qualsiasi forma di autorità, poliziotti in particolare (duramente insultati nelle furiose “Dead Cops/America’s So Straight” e “I Remember”, espliciti incitamenti alla rivolta), la tragica consapevolezza di vivere una vita vuota in un mondo grigio ed ostile (“American Achievements”). I temi toccati sono svariati, alcuni dei quali trattati per la prima volta all’interno di una canzone punk: ad esempio omofobia e vegetarianismo, ma anche il disprezzo per il lavoro (la travolgente e velocissima “I Hate Work”) e per i tipici bifolchi destrorsi del sud degli usa, ridicolizzati nella furiosa cavalcata “Violent Redneck”, lunga appena 39 (intensissimi) secondi. Non si salva nemmeno la famiglia, la cui degenerazione progressiva è descritta con una caricatura grottesca in “My Family Is A Little Weird”, che rappresenta comunque uno degli episodi più “leggeri” del disco, vagamente simile ai lavori dei primi Circe Jerks.
Ma la vera ciliegina sulla torta è il ritratto al vetriolo di un'autentica icona dell’immaginario americano (e quindi universale), tutto maschilismo e violenza guerrafondaia: nientemeno che John Wayne. A lui viene dedicata, in occasione della morte, una canzone destinata a divenire il simbolo del gruppo ed una pietra miliare del genere: “John Wayne Was A Nazi”. Introdotta da una linea di basso che segue un ritmo quasi funk, prosegue relativamente lenta fino al primo ritornello, quando la rabbia a stento contenuta prorompe selvaggia e liberatoria (“he was a nazi / but not anymore / he was a nazi / life evens the score /(…) you’re roastin’ now well John, we’ve got no regrets as long as you died a long and painful death”). Un classico.
Il disco fu co-prodotto da Jello Biafra che, tramite i suoi Tentacoli Alternativi, si occupò anche della distribuzione (e li volle pure come gruppo spalla di un lungo tour europeo dei Dead Kennedys).
Da sottolineare il fatto che la voce di Dictor, che ben riesce ad emergere ed affrancarsi dall’olocausto sonoro circostante, è (quasi) sempre nitida e comprensibile: particolare che denota la precisa volontà del gruppo di far comprendere le parole il più chiaramente possibile. Proprio a causa dei testi “forti”, in molti all’interno della scena punk hardcore dell’epoca criticarono la band, rimproverandogli un’eccessiva politicizzazione, a loro avviso estranea agli ideali del punk. Infatti, a differenza di ciò che accadde in molti gruppi loro contemporanei (come Adolescents, Descendents, Social Distortion o altri), il ripudio di qualsiasi forma di autorità e la rabbia verso le ingiustizie, non sfociarono nel tipico atteggiamento nichilista ed autodistruttivo, ma divennero un invito ad alzare la testa e a ribellarsi: contro la società oppressiva, contro il conformismo, ma soprattutto contro la polizia violenta e fascista. Tutto ciò in un periodo in cui il punk era qualcosa di importante, un vero movimento che impauriva borghesi e benpensanti, e non solamente una moda da sfruttare o un genere musicale con cui arricchirsi.
Carico i commenti... con calma