Nell'Inghilterra del post-punk emerse un movimento particolarmente interessante. Si trattava del "white-funk", un concentrato esplosivo che portava in primo piano la ritmica ballabile, dove la forza e l'energia del suono rendevano omaggio alla teoria del "Rock Against Racism", nell'ottica di uno spirito comunitario particolarmente diffuso tra i musicisti di quell'ambiente.
Più ballabili e meno politicizzati dei loro cugini A Certain Ratio e Gang Of Four, i Medium Medium vennero inizialmente ritenuti anche più bravi. La stampa specializzata accolse infatti con grande fervore il lancio del loro debut-album "Glitterhouse". E non si può certamente dire, a distanza di tempo che avesse torto.
I Medium Medium presero in prestito la grande esperienza della no-wave più estrema e la metabolizzarono attraverso l'uso di un linguaggio più digeribile, ma soprattutto, più ballabile. E' difficile infatti rimanere insensibili ai loro ritmi, alle loro scariche adrenaliniche. Anche la scena alternativa della zona si accorse di loro, tanto è vero che gli U2 li vollero accanto durante il tour promozionale di Boy.
La raccolta in questione testimonia praticamente di tutta la carriera della band, dal primo singolo del '79, "Theme Or Me", sino al 1983, anno dello scioglimento. Il loro stile si potrebbe sommariamente definire come disco-funk. Come chiamare altrimenti un pezzo come "Splendid Isolation"? Un'irresistibile cavalcata con basso, percussioni e puntellamenti chitarristici ultra-minimali, tutti insieme a rendere omaggio alla causa principale del disco: il ritmo. E' sempre lui il protagonista indiscusso, l'altare sul quale si sacrificano tutti i virtuosismi, in favore di una danza che abbatta le barriere razziali e diventi universale.
Il barrito di tromba che apre "Hungry, So Angry", lascia subito il posto ad un basso spudoratamente funky, impegnato a pulsare sotto le dichiarazioni in tono androide del cantante.
"Further Than Funk Dream" è un inno sfregiato dalle urla di una tromba ubriaca, sul quale si leva un epico ritornello militante.
L'esotismo che profuma "7th Floor" si perde tra staccati nevrotici di elettronica e basso, in un clima leggermente più crepuscolare.
Clima che si fa notturno in "Praying", bellissimo pezzo debitore verso i Japan più atmosferici. Un basso metallico stende il solito tappeto, disseminato questa volta da interventi di tastiere stranianti e rumori indefinibili, sui quali si erge un lamento disperato carico di epos. Forse, il loro capolavoro.
La chiusura finale è affidata ad un'altra incursione nel dark, anch'essa vicina al gruppo di Sylvian (in particolar modo a "Ghost"): "The Glitterhouse", un inquietante viaggio di 2 minuti tra costellazioni di note minori, tamburelli e lamenti abulici, unico brano dove il ritmo svolge un ruolo marginale.
In definitiva, un ottimo disco, parecchio coinvolgente, di un gruppo dalla vita breve come tanti, ma che riuscì come pochi a "commercializzare" gli elementi "vitali" di un periodo irripetibile.
Carico i commenti... con calma