Ma quale futuro signori, è il solito disco elettronico scaturito da un laptop con l'ultima daw di grido, fatto in tre giorni e con una mano (l'altra è impegnata su pornhub). Ormai è chiaro che dobbiamo guardarci dall sciagurata generazione europea di neuro producer limitrofi ai Noisia e tutta la banda dei tedeschi come Phace e Misanthrop. Nel gruppo dei merdenderi adesso fa parte anche l'austriaco Mefjus (Martin Schober), solito biondino secco con le occhiaie e l'aria un po' sofferta, diciamo dannata, lui e il suo laptop sulfureo. Dopo un primo album non disprezzabile di qualche anno fa, arriva il momento di giocare con i grandi attraverso Manifest, titolo super sobrio per una produzione distribuita da Vision Imprint, la label dei Noisia (ahia). Siete ancora con me? Bene, il futuro è il solito disco zeppo di knob twittlin ed edonismo a pacchi industriali, niente di concreto da dire, ma molto più lungo del previsto. 70 minuti circa di avanguardia pura per urlare con tutta la vostra gioia ed esaltazione per il disco dnb dell'anno su YouTube.
Dal momento che questo è un album, diciamo anche epico, si parte con l'immancabile intro ambientale con nigga incazzoso, che non va da nessuna parte ma chi se ne fotte, senti quanto è epica. Fractured apre seriamente i giochi con violenza, come a ribadire che questo futuro è duro e senza compromessi. Anche senza idee, la solita bassline convulso-seghettata sentita una miriade di volte, sample di fendenti di katana, padellate spenceriane sulla crapa (?) e il maledettissimo snare compresso, che ci perseguiterà per TUTTO IL DISCO. Lo stesso snare e beat stock che caratterizza il sound di Phace, innovazioni che mandano a rotoli anni di lavoro ed evoluzione della jungle prima e la vera drum and bass dopo, ma questo è il futuro gente, non si può guardare indietro. Physically, Work It, Muskox, Pivot e Assembler ci ricordano che siamo in un disco prodotto dai Noisia, ed è quindi cosa buona mantenere una continuità stilistica, come risultato abbiamo brani più o meno compatibili con Outer Edges, l'ultima fatica del trio olandese, che già di suo era poca cosa ma che almeno definiva la loro abilità tecnica. Non che Schober sia molto da meno in quanto a competenze, si tratta di un discreto emulatore, ma ancora una volta è il trionfo della forma sulla sostanza: l'abilità compositiva è scarsa se non inesistente, i brani scorrono senza lasciare nulla, oltretutto con la già citata poetica aggiunta dei suoni compressi e l'intrinseca ambiguità tra impronta generazionale o limite tecnico.
Qualcosa si salva, e come al solito è quando si tenta di recuperare strade già battute, come The Sirens, che dopo la charge intro più lunga della storia sfocia nella tipica bassline Concord Dawn, e una drum machine maggiormente convenzionale, sembra in effetti un brano dei Concord Dawn, senza però i loro guizzi e idee. Altrettanto salvabile Sleazebag, grazie all'atmosfera malsana che riesce a creare con i synth e la struttura ritmica, ma non è nulla di più di quanto fatto da Johnny L con la sua Piper secoli prima. Il futuro è arrivato gente, ma io forse non sono ancora pronto, mi ritiro a riflettere ascoltando Warhead di DJ Krust.
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