In seguito alla pubblicazione del platter “So Far, So Good, … So What!”, episodio di pregevole fattura ma decisamente inferiore rispetto al meraviglioso capitolo precedente, i Megadeth attraversano un periodo di crisi in cui il leader incontrastato Dave Mustaine abusa di sostanze stupefacenti e manifesta preoccupanti segnali di squilibrio.
I gravi problemi a livello interpersonale con i due nuovi membri della band Yeff Young e Chuck Behler (soprattutto con il primo, reo di aver avuto una relazione con la sua compagna) portano il cantante all’esasperazione, ricacciandolo in una crisi profonda e logorante per il fisico e la psiche. Trascorso un periodo di riabilitazione in clinica e silurati i due elementi di disturbo, il carismatico singer individua in Marty Friedman e Nick Menza gli ideali sostituti: la sua scelta si rivelerà largamente positiva ed i nuovi arrivati contribuiranno a rendere il sound del gruppo sempre più originale ed innovativo, costruendo edifici sonori di rara bellezza e supportando al meglio la creatività ed il talento del grande Dave Mustaine, chitarrista di livello eccelso e compositore di indubbia genialità.

“Rust In Peace” è il frutto del lavoro di quattro artisti dotati di capacità fuori dal comune, con background professionali differenziati (Menza ha un’attitudine innegabilmente jazz, mentre Friedman spazia dalla fusion all’ hard and heavy) ma uniti nel lucido proposito di creare un masterpiece annoverabile fra i dischi fondamentali del genere. Mustaine e soci danno vita ad un thrash metal estremamente elaborato che giustifica appieno il prefisso “techno” (troppo spesso attribuito in maniera grossolana ed indiscriminata a tutte le speed metal band del periodo) in virtù di una perfezione formale e di una complessità di struttura veramente singolari (soltanto gli Annihilator di Jeff Waters si assesteranno su livelli analoghi). Raggiungendo la posizione #23 nella chart di Billboard il platter è divenuto disco di platino, ottenendo un sorprendente successo anche nel Vecchio Continente.
L’opener “Holy Wars… The Punishment Due”, che accomuna sotto un unico titolo due entità separate, è devastante: un testo pungente viene sapientemente accompagnato da suoni apocalittici e distruttivi, capaci di creare scompensi nell’ ascoltatore. La successiva “Hangar 18”, prolungata nel suo incedere opprimente, è l’ennesimo capolavoro composto da Dave Mustaine: un testo breve ed incisivo viene sovrastato in tutto e per tutto da incursioni chitarristiche velenose ed intriganti, creando un vortice sonoro dalla forza magnetica unica. Il video di supporto, dai forti contenuti antimilitaristi (così come la copertina del disco), è uno dei più suggestivi realizzati dalla band e mostra le violenze perpetrate dalle forze governative su alcune creature aliene deformi, evidenti rappresentazioni ideali di individui emarginati e disadattati. Il disco prosegue con la notevole ma non trascendentale “Take No Prisoners”, song che dovrebbe commemorare lo sbarco in Normandia delle truppe alleate ma che non riesce a regalarci spunti interessanti a livello di songwriting, liquidando l’ argomento con un testo minimale e non all’ altezza della band.

Passando per le magnifiche “Five Magics” e “Poison Was The Cure”, tracce in possesso di alcuni passaggi memorabili, giungiamo alla frenetica “Lucretia” song composta a quattro mani da Mustaine ed Ellefson che mette in luce un’ invidiabile attenzione alla melodia, pur conservando i connotati della più classica speed metal track. “Tornado Of Souls” è, invece, un mastodontico esempio di techno – thrash in cui il gruppo fa sfoggio di tutto il suo talento, dando vita ad un pezzo irresistibile, dove la sezione ritmica giganteggia sulla voce di Mustaine e le due chitarre sfogano la loro passione in un amplesso sonoro selvaggio e primitivo. A chiudere ci pensano due ottime tracce come la breve ma incisiva “Dawn Patrol” e la straordinaria “ Rust In Peace… Polaris”, caratterizzata da un testo che sfoggia uno humor nero degno del miglior Charles Addams.
La produzione di Mike Clink (già al lavoro con i Guns N’ Roses in “Appetite For Destruction” e, qualche anno più tardi, dietro la consolle per l’ottimo “New Tattoo” dei Motley Crue) riesce a far letteralmente esplodere un sound già di per sé devastante, elevando la qualità di un album granitico ed elegante che incarna al meglio il verbo del techno – thrash. A dispetto del titolo, “ Rust In Peace” si dimostra un’opera inossidabile. (Enrico Rosticci)

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