La copertina. Che copertina. Non facciamo i moralisti o gli ipocriti, questa copertina parla diretta al mio basso ventre (e non solo al mio, credo), ed è per questo che ho ascoltato questo disco.

Quello che ho per le mani è l'ennesimo progetto parallelo scanzonato, per nulla pretenzioso (ma sarà vero?) e dichiaratamente ironico di Devendra Banhart, qui accompagnato da Greg Rogove dei Priestbird (che è l'altro, quello senza coltello) e da vari compagni di avventure tra cui Fabrizio Moretti degli Strokes, nato, come da dichiarazione stampa dei fondatori della "megatopa" da due amici che si sono trovati a inventare titoli stupidi di canzoni e poi a scriverle.

In effetti, la fortuna di Devendra Banhart, a parte il suo merito di songwriter che è fuori discussione, è l'essersi creato un mondo, che troppo frettolosamente definiremmo un mondo nostalgico hippie, perchè riesce a unire un gusto infantile per le melodie, e insieme malinconia, e allegria, e sensualità, e ironia, a cui viene ormai sempre associato. Non sappiamo fino a che punto ci faccia o ci sia (cioè, se ci è, mamma mia), ma è davvero prendere o lasciare.

Così, anche quando dichiara che un disco è uno scherzo, non sappiamo fino a che punto sia vero. Allora, per scherzo, il disco si apre con un pezzo soul dai suoni retrò molto bello ("crop circle jerk '94"), prosegue con un felice momento di assurdo ("Duck People Duck Men"), per poi sfociare nel solito handclapping da frikkettone ("To love within'). Non manca un pezzo beat anni 60 ("Hamman") e una rivisitazione do-wop direttamente dal cassetto di Roy Orbison (o da Dirty Dancing?), "chicken tits". Alcuni sono andati a scomodare addirittura Frank Zappa per i pezzi piu' folli e caotici del disco ("Mr Meat") ma io non ci ho trovato tutto questo sforzo.

Per quanto a volte tutta questa stramberia diventi irritante perchè un pò troppo furbetta, è difficile resistere al trash di un pezzo come "Adam & Steve" con tanto di citazione di "Careless whisper" di George Michael (ripreso abbaondatemente nel video ultratrash, andatevelo a vedere), a "theme from hollywood" con tanto di miagolii o a "gun on his hip". Qui ci arrendiamo, e o lo si ama, o lo si odia.

E proprio quando stai per mandare al diavolo Devendra e tutta la sua congrega di allegri hippie, ecco affiora quello che da lui ti aspetti, un pezzo trasognato come "Surfing", bellissima, ipnotica, che ricorda i momenti più lunari di Brian Wilson, e le ultime 3 canzoni, in particolare "Another mother" (impreziosita da un innesto vocale di Anthony) che sono davvero belle e intense, tanto da stonare per il loro tono malinconico con il resto del disco.

Avevo tutte le resistenze di questo mondo. Ma mi arrendo, mi piace e ne sono innamorata. Anche prima di aver visto la retrocopertina.

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