Dopo l' autunno del 91, data che non ha nessun bisogno di essere ricordata, produttori di rilievo ed etichette prestigiose iniziarono a cercare tutte le band in provincia di Seattle, più precisamente, nei dintorni di Aberdeen; per fare qualche nome: Tad, Mudhoney. Purtroppo, questa ossessiva ricerca, non molto spesso consegnò al grunge risultati esaltanti: gruppetti abituati a celebrare la propria goffaggine, si sentirono assai a disagio quando dovettero suonare in studi specializzati e equipaggiati perfettamente. Molte band, quindi, sacrificarono tragicamente le loro rozze e feroci composizioni, in sdolcinatezze pop. I risultati furono: flop, fallimenti commerciali, licenziamenti, rottura delle formazioni e di conseguenza, molto spesso, progetti ancor più osceni e squallidi; e altre catastrofiche conseguenze. Nel 93 approdò all'Atlantic la band di Buzz Osborne: l'ennesima band che fino ad allora aveva lavorato per case discografiche minori. Quella band erano i Melvins, e quel produttore, "in verità, solo di sei canzoni", era Kurt Cobain, e Houdini, non si ostinò ad imitare quello che stavano facendo quasi tutte le altre band grunge che ora lavoravano per major, ma virò verso orizzonti alternativi, senza mai tradire il loro sound sporco e roccioso, "anche se bisogna riconoscere che questo è veramente uno dei capitoli più accessibili della loro discografia".

Impossibile etichettare Houdini, come d' altronde ogni loro album, perchè si tratta di una musica che solo loro sanno suonare, un rumore che solo loro sanno produrre. In poche parole, un disco camaleontico; più specificatamente, diviso dai due frangenti che da sempre hanno contraddistinto la musica dei Melvins: il loro lato più atroce, e cioè dove regna un heavy distorto, cupo, pesantissimo e minimalista, che gioca furbescamente ai confini del doom; e il loro lato più filosofico e sperimentale, "molto più accentuato da questo album in poi". Ancora una volta, ci troviamo davanti a qualcosa di compiuto, riuscito, bizzarro, un album sporco, ma raffinato. E poi, la ciliegina sulla torta: Cobain, buon amico di Osborne e Crover, produce e suona la chitarra in Sky Pup, e insieme a Dale, si esibisce in un assolo di dieci minuti a base di percussioni.

Un lento drumming, e poi una chitarra distorta, lenta, "in perfetto stile Melvins",  una voce strozzata e un corrosivo ritornello: questa è Hooch, un nuovo classico del gruppo, nonchè uno dei singolo che più rimanda ai loro primissimi lavori. Non meno importante è Night Goat che, iniziando con un giro di basso abbastanza inquietante, sfocia in un ritornello ancor più marziale, condito dai lamenti sinistri di Osborne. Lizzy invece è uno spensierato brano punkrock, lento e incisivo. Honey Bucket, "pezzo schiacciasassi", dimostra la bravura del gruppo nel sostenere persino velocità impensabili, mentre in Hag Me si ritorna al funereo rallenty degli inizi, con una chitarra cosi distorta che sembra scoreggiare. Con Set Me Straight iniziano i giochi sperimentali: una miscela di punk, pop e psichedelia intenta a collegare i Beatles con i Nirvana. In Sky Pup, Pearl Bomb "con molte influenze industrial", e Teet, viene messa in risalto la bravura della Black, che prima era stata eclissata e nascosta più volte. Nei dieci minuti di percussioni di Spread Eagle Beagle, il gruppo chiude, "se non un capolavoro", un album onesto, semplice e ben fatto.

Geniale nel  suo genere, "qualunque esso sia".

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