Cosa si può desiderare di più da un album? Il fatto che i pezzi appena li ascolti ti entrano nel sangue? Il songwriting impeccabile e fantasioso? La bravura dei musicisti? Forse dipende dal genere, o forse no, e di solito queste condizioni sono tutte quante di valida importanza, anche se (ovviamente) non sono regole assolute. Questa premessa è per dirvi che il disco in questione riunisce tutto quanto si possa desidare dal death metal: brutalità, tecnica, songwriting magistrale e perchè no, anche tanta melodia e buon gusto.

I MOALS pubblicarono questo "Distorted Perceptionz" nel 2003, dopo "The Clockwork" (di cui mi pento di aver fatto un recensione troppo scarna), passati i due demo (già osannati ovunque) si (ri)presentarono alla grande con questo album, proponendoun concept niente affatto banale in cui musica e testi si intrecciano formando un tessuto di suoni inquietanti e violenti quanto basta, portando questa band su una nuova direzione leggermente distante dai loro esordi. Ogni demo ed ogni album dei MOALS ha rappresentato una loro evoluzione, ma in particolare la rotta intrapresa con questo, ha centrato come non mai il bersaglio. Tredici pezzi distribuiti su più di un ora di musica in cui si susseguono spirali di violenza ritmica ad arpeggi di chitarra puliti, riff distorti, growl e intermezzi classici, un disco classificato dalla stampa specializzata come death/black sinfonico, ma io personalmente non ci vedo molto di black (se non lontani sprazzi qua e la). Questo è death puro nella migliore tradizione svedese della decade scorsa, a cui ovviamente paga un doveroso tributo, ma, senza mai scadere nel già sentito o nel riciclaggio di idee. Ogni canzone è un viaggio, una "percezione di vita distorta" raccontata dalla voce di Buzz, estrema come mai prima di allora, e tutti i componenti non sbagliano un colpo, dalle chitarre, di cui una è sempre Buzz e l'altra Peppe, alla sezioneritmica, come sempre precisa ed impeccabile a rendere i pezzi robustissimi, grande merito a Max e al bassista Marco.

Trovo davvero ottima ogni singola canzone, e bellissimi anche i pezzi strumentali, veri e propri scorci di classe e (apparente) tranquillità in mezzo a tanta furia: gli arpeggi di "Next Terminal Reality" con quel leggero accenno di percussioni e le chitarre distorte in sottofondo (ricorda come stile "voice of the soul" dei Death), e il bellissimo intermezzo di pianoforte ("The Incubation Starts") prima di approdare a "The Soul's Incubator". Comincerete a pogare da subito, dalla prima canzone, senza fronzoli, e tutto il resto a seguire sarà come vi ho detto sopra, potente, ritmico, melodico, inquietante . . . grandioso.

Consigliato solo ed esclusivamente ai metalhead, chi si avvicina per la prima volta a questo genere non digerirà mai un album di questo calibro. Andate sul sito e scaricatevelo (è disponibile tutto!) non ve ne pentirete. Ah dimenticavo, ma penso che si era capito (dai nomi), i Memories Of A Lost Soul sono una delle punte di diamante dell'italico underground, per la precisione di Reggio Calabria. Un discorso a parte andrebbe fatto su quest'ultima cosa, croce e delizia della nostra nazione: siamo fieri di avere gruppi di tale portata, ma siamo coscienti del fatto che inun altro posto a quest'ora avrebbero avuto già il successo che meritano. . .

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