La recensione su questo disco è anche un pretesto per rendere omaggio a quello che io definisco l'eminenza grigia del blues ovvero il gigantesco Willie Dixon, compositore e paroliere che ha scritto una valanga di splendide canzoni che sono divenute nel tempo dei classici del blues (per poi sconfinare anche in altri (sotto)generi). Questi brani sono spesso stati scritti per altri musicisti. Quello che posso dire è che Dixon non componeva pensando solo a sé o limitatamente alla canzone, ma scriveva appositamente per il musicista di turno, che sceglieva anche a partire dalla stima che aveva nei suoi confronti. Ad esempio i pezzi composti per Howlin' Wolf, sono già, a partire proprio dalla scrittura, brani che mettono in risalto le caratteristiche di durezza, ancestralità e tribalità proprie del modo di suonare di Wolf come si può sentire, tanto per citare due pietre miliari, in "Evil" o "Spoonful". Mentre quando compone per Muddy Waters la scrittura di Dixon si fa energica, potente e solenne come ad esempio si ascolta in (ma chi non la conosce?) "Hoochie Coochie Man" o in "I Just Want To Make Love To You" e si potrebbe continuare così con tutti i musicisti per cui ha scritto. Una curiosità puramente statistica, per chiudere questo breve ritratto musicale di Dixon, si contano più di 500 brani da lui composti (e niente).
In tutto questo non va dimenticato che Dixon è anche un ottimo e affidabile bassista dal suono chiaro e tondo con il caratteristico uso del walkin' e dello slappin', ed è proprio come sideman che è riuscito a mantenersi, lavorando in maniera davvero massiva soprattutto nel periodo in cui era sotto contratto con la casa discografica Chess.
Ma ora veniamo al disco "The Blues Every Which Way" inciso per la Verve nel 1960, qui Dixon affianca Memphis Slim, cantante e pianista dallo stile personale e dotato di uno spiccato swing, ma la parte del leone la fa proprio Willie, sono suoi la maggior parte dei brani scritti e cantati (infatti non ho capito la scelta della casa discografica di mettere il suo nome per secondo, forse ragioni contrattuali). Comunque i due avevano già dato alle stampe, l'anno precedente per la Bluesville, l'ottimo "Willie's Blues" tra l'altro il primo 33 giri inciso da Dixon (di cui, qui su DeB trovate una bella recensione). A differenza del precedente lp che era in quintetto, questo del '60 è un duo di piano e cotrabbasso.
Si comincia subito alla grande con un gioiello composto e cantato da Slim ovvero "Choo Choo", titolo onomatopeico sul suono del treno, il testo infatti racconta di un probaile addio alla stazione. Il canto profondo e intenso di Slim è penetrante, il piano sottolinea le sfumature e le inquietudini e il basso sinuoso e discreto di Dixon lo accompagna. Il secondo pezzo "4 O'Clock Boogie" è uno strumentale sempre di Slim di tutt'altro sapore, dallo swing travolgente con il contrabasso che sembra incalzare e a tratti "spolverare" la strada all'energico boogie-woogie del piano. "Rub My Root" di Willie è un bellissimo lento dal carattere notturno. Altro strumentale, firmato da Dixon, è "C Rocker" inizia con un irrefrenabile "boogieggiare" blues del piano poi, quasi per contrasto, si arriva all'interessantissimo solo zoppicante del basso, che in certi momenti sembra scapicollarsi nell'intento di non far cadere l'intera struttura musicale, fino al perentorio ritorno del piano per la coda conclusiva.
La struggente "Home To Mamma" mette in risalto l'essenzialità inquieta della scrittura di Dixon, qui sottolineata anche dalla sua drammatica ed intensa interpretazione vocale, il basso sospirante e il palpitante pianismo di Slim fanno il resto. Passionale è "Shaky" in cui Willie rispolvera quel canto balbettante già sentito in "Nervous" (altro classico dixoniano), mentre Slim regala un riuscito solo al piano.
Forse questo disco non è un capolavoro, ma lo trovo splendido e, per me, è essenziale in ogni discoteca blues che si rispetti.
Tra l'altro mentre finivo di scrivere la recensione mi è venuto in mente, traendo spunto dal titolo di questo lp, che "il blues in ogni modo" potrebbe essere una definizione che calza a pennello alla vita di Dixon, anche se lui stesso direbbe, in maniera ancora più altisonante, "I am the blues".
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