HELLO BLACKBIRD
volare nelle strane arie dei Mercury Rev
La più recente uscita discografica dei Mercury Rev è una colonna sonora dal titolo "Hello Blackbird", composta per la sonorizzazione del film "Bye Bye Blackbird" (regia: Robinson Savary), mi pare ancora inedito in Italia. Non è la prima volta che questa band si cimenta in un'operazione di questo tipo, ma credo che musicalmente ci siano parecchie differenze dai loro lavori degli esordi.
Se da una parte, in quanto appassionato di cinema, mi è difficile parlare di una musica per film senza aver visto il film, dall'altra l'indipendenza dalle emozioni suscitate dalla visione può aiutare nell'elaborare un discorso strettamente analitico sulla materia sonora fornita dal gruppo di Buffalo. Prima di tutto informo i lettori, sperando di non deluderli, che non troveranno canzoni (a parte la milonga finale "Simply Because", cantata da una voce femminile) ma composizioni strumentali che nulla hanno a che fare con il rumorismo psichedelico degli inizi.
Quando si tratta la musica composta appositamente per un film bisogna innanzitutto distinguere tra accompagnamento, che sottolinea l'elemento filmico sulla base di somiglianze formali (esempio: passa il treno, l'orchestra ne imita il rumore) e commento, che interpreta il contesto dell'evento (per il caso esemplificato sopra inserisco nella scena una melodia riferita al tema del viaggio, o della partenza). Il secondo necessario distinguo va fatto tra tre categorie d'intervento musicale: il livello interno (la musica proviene da una fonte in scena, come una radio o una band), esterno (provenienza indeterminata, tipica musica di commento o accompagnamento) oppure mediato (la sorgente è sempre esterna ma la melodia associata ad un personaggio è come una soggettiva sonora e spesso esprime lo stato d'animo del personaggio).
Le composizioni strumentali dei Mercury Rev, in gran parte scritte dal chitarrista Grasshopper, mi sembrano molto sincere e molto poco ruffiane (come sono il 90% delle colonne sonore scritte da gruppi rock o da popstar), dal momento che non ricorrono facilmente alla componente leitmotivica e mai escono dal discorso cinematografico per ritornare su strade "commercializzabili". Col rischio di sbagliarmi, non avendo visto il film, azzardo a dire che "Hello Blackbird" si inserisce nella categoria del commento di livello soprattutto mediato, raramente esterno. Mi sembra infatti di poter considerare queste divagazioni come fotografie del mondo interiore dei personaggi, anzi, mi correggo: immagini in movimento, come il cinema, che illustrano talvolta lieve angoscia, altre volta malinconia, amore, desiderio e afflato. Dal punto di vista puramente musicale le composizioni sono validissime e originali, pur usando strumenti tradizionali della sonorizzazione filmica come ottoni, legni, arpa, sega, percussioni, xylofono e gli immancabili piano e archi. A momenti sembra di ascoltare una suite di Morricone che si sviluppa attraverso diversi snodi tematici, in altri invece pare di sentire l'influenza degli ultimi Eels ("Blackbird's Call"), in altri ancora torniamo agli stessi Mercury Rev di "Deserter's Song". Certi brani sono fotogrammi evanescenti, puri e durano meno di un minuto, altri invece sono molto lunghi, come i nove minuti di "The White Birds" (uno dei più riusciti), e si articolano secondo variazioni del valzer da circo. E' proprio questa caratteristica che mi porta ad affermare, nonostante non possa considerare l'efficacia dei sincroni, che gli autori nella scrittura sono rimasti ben legati alla materia tematica del film: il fatto che ci sono frammenti onirici, inquietanti, quasi spiritici, adatti a brevi inquadrature notturne, così come estesi paesaggi sonori forse relativi a piani sequenza o ad ampi movimenti di macchina. Molto spesso su una base grave si inseriscono i tintinnii acuti dei campanelli o degli xylofoni, e in questo caso mi vengono in mente le sperimentazioni di Eno per "Heroes", in altre occasioni il tempo della partitura è veloce, sincopato, mosso, eppure leggero. Ne consegue che il tono generale dell'opera risulta piuttosto vario, ci sono suoni d'ampio respiro, come boccate d'aria fresca ma dal sapore antico, così come intuizioni polverose chiuse in una cassetta di legno; le melodie ora sono solcate da raggi di sole, ora sono argentate come strali lunari, oppure si spostano lungo alcune possibili gradazioni tra questi "estremi"; è anche per via di questa fluida evoluzione delle sonorità che ho evitato di citare i titoli dei singoli brani: se forse essi rischiano di perdere importanza presi separatamente, d'altra parte acquistano un grandioso senso presi tutti insieme nel loro completarsi a vicenda, nel loro trasformarsi e innestarsi uno nell'altro.
Da quanto ho letto su internet la storia narrata in "Bye Bye Blackbird" mi ricorda vagamente "Il cielo sopra Berlino": ci sono di mezzo un circo, un dolore sussurrato, la voglia di cambiare, una nuova vita e un desiderio tenuto segreto. La vicenda credo sia trattata con delicatezza e passione, proprio gli stessi sentimenti evocati dalla colonna sonora. Concludendo, sono contento di vedere i Mercury Rev tornati in piena forma dopo la mezza delusione di "The Secret Migration" e l'amaro in bocca lasciato dal dover aspettare forse ancora molto per nuove canzoni e una più tipica release discografica è subito mitigato dalla limpidità (a volte opaca, ma non intesa come difetto) di queste curiose atmosfere incastonate tra l'enfatico e il minimale. Ora attenderò la visione del film per confermare se effettivamente esse funzionino legate alle sensazioni suggerite dalla pellicola.
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