Chi sono e cosa hanno scatenato in passato non te ne importa nulla. Se stai leggendo questa recensione ho la quasi assoluta certezza che non sia la prima volta che hai sentito nominare il nome di questa band.

Non catalogabile in nessuno dei generi esistenti, rifiutando anche il termine djent, il quale è ancora più intraducibile di “Meshuggah”, la musica di questo gruppo scandinavo o almeno la loro produzione sonora scinde l'umanità in fan scatenati e nullità, coscienti e ignari. Chi non l'assapora e l'ama, la considererebbe, in un fantomatico ascolto, come inutile, scarna, vuota e priva di significato: Non-Musica. Esattamente lo stesso giudizio che una persona comune avrebbe sui comportamenti di un “pazzo”. (Molto probabilmente tutto ciò era stato previsto dalla band sin dalla nascita)

"Koloss” appare, ad un primo e grezzo ascolto, una trasposizione di qualche film di Lynch dove non si comprende la magnificenza del disegno che sta dietro. Si assapora però, solo leggermente , il crudo diletto di un'innata inerzia fonica. Nell'ascoltatore prevarica il senso di una carenza comprensiva, la quale svanisce nei successivi ascolti dove comprende che dietro a una produzione musicale futurista, si erige un'immensità, perfetto e fedele affresco di un'attuale condizione mondiale. La barocca monotonia di chitarre e basso altro non sono che l'eco del ritmo di un'ordinaria giornata, ormai distaccata da qualsiasi ancestrale sonorità. Segnale evidente di una perenne lacerazione tra uomo e natura, la nuova realtà quotidiana è quella pensata dalla macchina. La melodia sentimentale è anacronistica. Nel lacerante canto è individuabile la poca umanità rimasta. Le pelli si sono trasformate in silicio. Il tempo è diventato asimmetrico.

Uomo e macchina hanno invertito i ruoli.

Carico i commenti...  con calma