L'unica cosa a poter rendere un paesaggio autunnale ancor più malinconico e al contempo piacevole è un adeguato sottofondo musicale. Qui abbiamo l'imbarazzo della scelta: il mio personalissimo consiglio è però di puntare alla semplicità e al minimalismo. Calmi arpeggi acustici, un po' di piano; quel genere di sound che mette insomma in risalto l'aspetto più fragile della natura e dell'anima stessa. Se sfruttata sapientemente, persino un po' di strumentazione elettronica può far bella figura.

Ecco che quindi, in tempi recenti, nella scena musicale indie comincia a farsi strada il cosiddetto ambient folk (esempio: Low Roar). I puristi storceranno forse il naso di fronte alla miscela di elettronica, ambient e folk. Eppure, sebbene cataloghi persino me stesso come purista del folk e della musica acustica (e quindi ne sappia poco e niente di elettronica, per cui chiedo perdono per eventuali strafalcioni), sono rimasto piacevolmente colpito da questo disco.

A celarsi dietro il silvestre nome di Messages To Bears vi è Jerome Alexander, polistrumentista oxfordiano. La sua one man band, già con qualche piccola esperienza di registrazione alle spalle (in particolare l'album Departures, risalente al 2009), sforna un disco coerente con le precedenti produzioni, non particolarmente innovativo per il genere ma senz'altro interessante ed originale.

La musica in Folding Leaves è di tipo evocativo: con la sua disarmante semplicità induce nostalgia, ricorda paesaggi, attimi di vita vissuta, particolari emozioni. Già dalla prima traccia, Daylight Goodbye, l'intento è chiaro: l'introduzione al piano, che si risolve poi in un climax i cui protagonisti sono gli eterei vocalizzi che andranno a caratterizzare un po' tutto l'album, non lascia spazio ad altro che all'immaginazione. Tale sublime sensazione rievocativa viene poi ripresa, e migliorata, nella successiva Wake Me, con un fragrante arpeggio acustico accompagnato da poche e selezionate percussioni, con tanto di cinguettio di uccelli in sottofondo.

Ben più ritmata è Mountains che, per certi versi, è il pezzo forte del disco: oltre ad essere tra le canzoni dell'album a presentare liriche ben precise, essa si poggia su un'affascinante atmosfera bucolica, che proietta vorticosamente l'ascoltatore nell'Arcadia. E se l'influenza elettronica si sente già in Farewell, Stars, in Everything Was Covered by Snow essa assume un ruolo preponderante, rappresentando un paesaggio invernale dapprima in modo contemplativo, poi quasi frenetico.

Tra le ben riuscite incursioni nell'elettronica spaziano la più scarna Undone, gemma acustica in cui i vocalizzi giocano un ruolo decisivo, ed Unleft, che chiude l'album quasi facendo una summa degli elementi che meglio l'hanno caratterizzato.

Il pregio di un disco simile è che permette di sviluppare un'affascinante attitudine alla contemplazione. Consiglio di farlo suonare rigorosamente a volume basso, con lo scroscio della pioggia in sottofondo.

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