Una culla apparentemente reduce da un incendio, sulla quale è stato aperto brutalmente un varco. Una chitarra rotta, occhiali scuri, un pugnale, un triciclo e un orsetto incenerito. E tutt’intorno luce accecante.

Sono passate settantadue stagioni ed è arrivata la maggiore età. Questo ci vogliono dire i Four Horsemen tramite la copertina del loro nuovo ultimo attesissimo album.

Sono passati sette anni da “Hardwired…To Self-Destruct” e trentadue da quel “Black Album” che ha creato la ben nota spaccatura nella fanbase dei quattro del thrash metal di San Francisco.

Da quell'estate del 1991 è successo di tutto e dopo quarantadue primavere sentiamo parlare di maggiore età e totale consapevolezza. Con notevole ritardo e in modo poco credibile, mi verrebbe da dire, dato che i Metallica si sono lasciati alle spalle ormai da parecchio tempo la maturazione artistica e la totale consacrazione al pubblico del globo terracqueo.

“72 Seasons” è croce e delizia. E’ ciò di cui avevamo bisogno e in parte la conferma di qualcosa che sapevamo già. E’ un disco prepotente, sincero e a tratti devastante, nel quale non manca un po’ di noia e un colpetto al freno a mano. Ma in generale è la conferma di un talento innegabile e di una capacità di accendere la miccia senza bisogno di capire come doverlo fare. E tocca tirare in ballo il più scontato dei detti, ammettendo che James, Lars, Kirk e Rob “sono come il vino buono” e il tempo li rende ancora più appetibili al palato, anzi all’orecchio, nel caso specifico. L’ugola di James dimostra di aver reagito bene alla riabilitazione, graffia e strappa, non perdendo mai ritmo in ogni singolo episodio. E parliamo di episodi tutt’altro che brevi, che raggiungono il picco con la sgrammaticata ma sopraffina “Inamorata”, closing da più di undici minuti. Lars si lascia alle spalle le critiche e riceve anche i complimenti di Thomas Lang, non proprio uno qualunque. Gli assoli di Kirk sembrano volerci dire che il suo plettro non gira bene solamente sulla partitura di “Master of Puppets” e Mr.Trujillo, oltre a confermare (se ce ne fosse ancora bisogno) quanto sia stato opportuno sceglierlo esattamente vent’anni fa, esordisce alla voce facendosi largo nei cori.

Capostipite degli episodi più significativi è, neanche a dirsi, "Lux Æterna", primo singolo rilasciato a sorpresa nel novembre dell’anno scorso. A seguire, tra le belle e maledette, “Screaming Suicide” (che, senza essere "blasfema", strizza l’occhio a “Kill ‘Em All"), “Shadows Fall” e non ultima, la title track “72 Seasons”. “If Darkness Had a Son” merita una citazione a parte, dato che subisce amore e odio; pur rimanendo stuzzicante al primo ascolto, nel complesso e dopo svariati tentativi risulta essere un po' banalotta. Ciò che fa perdere smalto al lavoro nel suo complesso è l’eccessivo loop in pezzi come “You Must Burn!”, trascinato e in generale fine a se stesso, nonché in “Crown of Barbed Wire”, “Sleepwalk My Life Away” e “Chasing Light” mid tempo un po’ tirate e a tratti noiose. Se delle prime due avremmo potuto fare tranquillamente a meno, le rimanenti colpiscono prima per l’intro di basso di Trujillo e poi per il doppio assolo della premiata ditta Hetfield/Hammett. “Room of Mirrors” e “Too Far Gone?” sono potenza e tecnica e riportano la mente ai vecchi tempi, tra variazioni melodiche e riff ubriacanti.

Nei testi, anch’essi molto validi, si parla di rinascita e di crescita, con un occhio a quel passato che ha contribuito alla formazione del talento e del carattere. Significative le parole di James Hetfield, che descrivono al meglio il messaggio trasmesso tramite i dodici pezzi nei quasi ottanta minuti di musica:

I primi 18 anni della nostra vita che formano il nostro vero o falso io. Il concetto che ci è stato detto di "chi siamo" dai nostri genitori. Un possibile incasellamento intorno a che tipo di personalità siamo. Penso che la parte più interessante di questo sia lo studio continuo di quelle credenze fondamentali e di come influiscono sulla nostra percezione del mondo di oggi. Gran parte della nostra esperienza adulta è rievocazione o reazione a queste esperienze infantili. Prigionieri dell'infanzia o liberi da quei legami che portiamo.

I “nuovi” Metallica dell’anno domini 2023 sono questi. Non sono né meglio né peggio di quelli che arrivano dai primi Ottanta, sono soltanto diversi. Più maturi e ricercati o più ripetitivi e scontati. Fate vobis.

Si possono amare od odiare ma rimane il fatto che questo ultimo lavoro, al netto di qualche inevitabile pecca, resta un disco davvero ben fatto e gradevole. E il giudizio migliora ulteriormente se non si fanno troppi ragionamenti e ci si gode la musica nella sua vera essenza.

Diplomati con un buon voto.

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