Secondo capitolo dell'accoppiata di geniacci Pat Metheny e Brad Mehldau.

Quartet esce a febbraio 2007, un anno dopo il mirabolante avvio di collaborazione del succulento duo. Parto con l'ascolto forzato e come al solito non faccio altro che riascoltarlo, senza mai passare ad altro, fino a farmelo entrare in circolo. La prima impressione non è buona. Sembra un lavoro troppo intellettuale e nessun pezzo mi induce a soffermarmi sullo stesso per approfondirne immediatamente il contenuto. Però dopo il terzo-quarto giro si fa ascoltare. Rimango poco entusiasta e ripenso al lavoro precedente senza Ballard (batteria) e Grenadier (basso), dal sapore più intimo ed innovativo. Vero, il sound è completo, raffinato, ma non brillante. C'è un filo conduttore oscuro che fa pensare ad un ristagno, un collage di pezzi per scartare verso sonorità tipiche e colte, troppo colte, perdendo lo slancio creativo che mi aspetto sempre da artisti di questo calibro. Analizzando le angolature di ogni pezzo si percepisce qualcosa di buono qua e là, ma non tutto è alla portata delle gradevolezze sonore passate.

La linea di ricerca musicale è prevedibile, tipica del sound di Pat con qualche sfaccettatura, poco a dire il vero, in stile Mehldau. Questo lavoro ha il sapore di un capolinea collaborativo, dove si è sfiorato il livello esecutivo più alto, ma è evidente il senso di "corda tirata al massimo" soprattutto a livello concettuale. I due lavori a questo punto potrebbero essere considerati insieme, ma il sapore ed il valore del lavoro precedente è assolutamente più incisivo e convincente. Col precedente lavoro il duo ci dava infatti un assaggio raffinato, mentre qui ci va giù pesante. 11 pezzi, l'ultimo è "Martha's Theme" un classico del 1995 di Pat rinverdito per l'occasione, dunque si affrontano 10 pezzi originali. Non sempre originali in senso lato, pieni di jazz colto, aspro ed intellettuale, con idee di riserva e una attenzione ai leziosismi che a tratti fa pensare alla finalità concertistica. Il materiale per un tour mondiale ora c'è. Ci sono pezzi che permetteranno di esporre la mercanzia dell'improvvisazione e celebrare il livello di contemporaneità del jazz esposto al livello di massima sapienza esecutiva. Ma non c'è innovazione. Stile, efficace percezione di suoni intensi e melodie curate, ma tutto già sentito. O quasi.

Passo allo spaccato dei pezzi analizzandone i contenuti.

  1. "A Night Away" è l'unico pezzo dell'album scritto a 4 mani. Ha un sound raffinato, una buona ritmica che celebra il concetto di jazz contemporaneo, ma non ha nulla da dire. Non ci sono slanci creativi, né nel modo di suonare, né nei fraseggi, né nella strumentazione. Un pezzo che richiama al classico e non esplora nessun territorio.
  2. "The Sound of Water" è territorio per lo sfoggio del sound esotico della Pikasso, il mostro a 42 corde della liutaia Manzer, per un'atmosfera orientaleggiante/arpeggiata ed un sound cupo, profondo, estetico, smorzato nella durezza dagli interventi di Mehldau. Ricorda "Tears of Rain" del 1996. Un pezzo lento, un esercizio di fascinoso stile che inganna sulla mancata freschezza del suono. Finto alternativo con passaggi di piano floreali ed arzigogolati. Impegnativo.
  3. "Fear and Trembling" espone ad un curioso suond elettric-acoustic guitar, che ricorda a tratti l'album "Quartet" quello del PMG del 1996. Certamente il pezzo più sperimentale dell'album, con sonorità acutissime e strazianti, riporta a tratti al jazz-rock di matrice scofieldiana. Difficile.
  4. "Don't Wait" è ballad romantica che riporta decisamente al sound già sentito nel loro precedente lavoro. Soft-free di Pat tra le parentesi di una melodia graziosa e leggerissima. Pezzo riempitivo che non dà certo spessore ad un album fin qui deludente.
  5. "Towards the Light" ha suoni da Pmg stile "Imaginary Day"(1997) con qualche venatura acustica e metallica, più intrallazzo sapiente di Brad. Regressione.
  6. "Long Before" è uno dei pezzi migliori, tra ballad e poesia musicale, dallo spessore soave di tipica impronta methenyana. Alcuni passaggi sono riconoscibili, ma il tema musicale è molto gradevole con venature malinconiche. Finalmente si avverte espressività e slancio creativo, pur risultando in linea perfetta con il lavoro precedente (che va ricordato come produzione eccelllente).
  7. "En La Tierra Que No Olvida" è parentesi tango-jazz, curiosa e piacevole commistione. Indicativo per sostenere un album, di per se, povero di idee nuove, fa dunque eccezione e merita un po' più di attenzione. Questo è spiritualmente all'altezza, direi adatto come "sample promozionale"
  8. "Santa Cruz Slacker" ha un sound molto "professionale", scolastico, intenso ed oscuro, con cura jazzistica maniacale per un intreccio strumentale riuscito perfettamente. Un pezzo molto adulto, di classe, la cui chiave di lettura, sul tema di partenza, si comprende meglio dopo più ascolti. Intenso e piacevole.
  9. "Secret Beach" è altro lento con la solita synth tromba nella parte finale, per un pezzo che dura 9 minuti e rotti, francamente eccessivo, stancante e finalizzato al lunghissimo solo, e si tratta puro estetismo esasperato. Questa volta era da evitare soprattutto perché non appare decisivo o particolarmente ispirato. Mia opinione personalissima: sarebbe ora che Pat abbandonasse questo sound, che lo ha rappresentato per diversi anni (fine anni '80 primi anni '90), ed ha fatto il suo tempo.
  10. "Silent Movie ballad" ha sonorità affascinanti. Peccato che stavolta, e questa è la sorpresa più amara di tutto il cd, Pat riproponga se stesso, mascherando il vecchio pezzo "Renato's Theme" (da Passaggio per il paradiso, del 1995) in una nuova suite jazzata con una spruzzata di elegante pianismo alla Mehldau . Il tema principale è riproposto in un crescendo già conosciuto, con passaggi free periferici, ma che non ingannano l'ascoltatore attento. Non bastano le minime varianti espresse per modificare un pezzo eccezionale, ma dove viene messa in evidenza la carenza creativa dell'artista. Omaggio a se stesso?
  11. Marta's Theme (da "Passagio per il Paradiso" del 1995) in versione minimalista, ripropone l'interpretazione di Brad, con prevedibili interventi di Pat, ma aldilà del pezzo in se eccellente, non ci sono note di evidenza.

Si avverte dunque una sorta di continuità, ma, oltre ad una infinitesimale cura dei dettagli c'è meno luminosità, un mood buio e aggressivo, un jazz indurito e filosofico. Sarà il tour mondiale a determinare quali pezzi creeranno feeling con il pubblico e quali meno.

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